Covid. Il virus va solo cancellato. Gli errori si pagano cari, evitiamoli
È passato più di un anno ma pare che la lezione che ci ha dato il Covid non sia servita. Pronti di nuovo a commettere gli stessi errori fatti la scorsa estate. Anzi, l’anno scorso avevamo l’erronea illusione di aver cancellato il Sars-CoV-2 con una coraggiosa serie di interventi che nessuno al mondo aveva mai attuato prima e in effetti avevamo riportato la circolazione del virus ai minimi termini. Sarebbe bastato perseverare per un altro mese e rafforzare le attività di testing e tracciamento che invece abbiamo rapidamente perso con la seconda ondata di ottobre e la terza di febbraio quando, ancora una volta, non abbiamo avuto il coraggio di fare lockdown brevi e mirati per arginare il contagio che da quel momento non ci ha abbandonato più.
Mancanza di coesione e ignoranza dell’evidenza scientifica sono gli elementi che stanno spalancando le porte a un’ulteriore ondata epidemica. Gli stessi mali che hanno colpito la stragrande maggioranza dei Paesi europei e, da ultimo, con effetti disastrosi, l’India.
Che cosa hanno in comune Paesi come la Nuova Zelanda e Taiwan, il Ruanda e l’Islanda, l’Australia e il Vietnam, Cipro e la Thailandia? Poco o niente dal punto di vista geografico, culturale, economico e sociale e però sono tutti Paesi in cui la vita oggi scorre più o meno normalmente grazie alla scelta di non convivere con il virus, ma di arrestarlo e, se possibile, eliminarlo. Hanno fatto scelte coraggiose: lockdown mirati e tempestivi, numerosi test e tracciamento inesorabile, limitazione della mobilità, rafforzamento dei servizi sanitari. E hanno bloccato il virus prima ancora di avviare la vaccinazione di massa.
Cosa hanno in comune l’India e l’Italia, la Germania e gli Stati Uniti, la Francia e i Paesi est-europei? La scelta di pensare di poter convivere con il virus e/o di pensare che una singola arma, la campagna vaccinale di massa, possa riportare l’epidemia a livelli sopportabili. Non sarà così: solo motivando l’intero Paese ad azioni coraggiose e non cedendo a stimoli divisivi e populistici che fanno leva su una popolazione provata tutta psicologicamente e in parte anche economicamente si potrà affrontare una battaglia lunga e faticosa, in cui ogni deroga all’evidenza scientifica e alla crudezza dei dati potrebbe portare a bilanci drammatici in termini di sofferenza e morte.
I sociologi conosco bene i cedimenti che molti governi stanno praticando: "imperativo democratico", così definiscono l’azione di un governo che fa cose sbagliate perché lo chiedono gruppi importanti di cittadini. È quello che ha fatto il governo indiano cedendo alle pressioni degli induisti di non rimandare la cerimonia di purificazione che si svolge periodicamente, consentendo loro di ammassarsi in prossimità di grandi corsi d’acqua. Il risultato, ineluttabile, è stata un’esplosione di casi e di morti, cadaveri ammassati in strada, ospedali al collasso e la possibilità di una nuova variante, forse più contagiosa e aggressiva di quelle fin qui conosciute che sta provocando grandi preoccupazioni in tutto il mondo.
La catastrofe ha portato fatalmente a un lockdown di sei giorni per tentare di fermare la curva del contagio. Naturalmente non sarà sufficiente, ma il primo ministro Arvind Kejriwal, anche di fronte alla tragedia epocale ha ritenuto di doversi giustificare: «Sono sempre stato contrario alle chiusure, ma questo ci aiuterà ad aumentare il numero di letti d’ospedale disponibili, è stata una decisione difficile da prendere, ma non avevamo altra scelta». E questo di fronte a oltre 300mila nuove infezioni ogni giorno, e a migliaia di morti quotidiane.
A preoccupare è soprattutto la pressione sugli ospedali. Diversi Stati della Federazione indiana hanno segnalato la saturazione dei reparti di terapia intensiva.
I social media sono pieni di video di funerali in cimiteri affollati, lunghe file di ambulanze fuori agli ospedali che trasportano pazienti ansimanti, obitori pieni di morti, carenza di ossigeno e farmaci, pazienti, a volte anche in due in un letto, nei corridoi e nelle sale di attesa dei nosocomi.
Il governo indiano ha semplicemente ignorato gli avvertimenti della comunità scientifica. Solo all’inizio di marzo, il ministro della Salute indiano Harsh Vardhan, un medico, aveva dichiarato che il Paese era «alla fine» della pandemia dopo che all’inizio dell’anno si era verificata una discesa significativa della curva epidemiologica. K. Srinath Reddy, presidente della Public Health Foundation of India aveva avvertito: «Tutti volevano tornare al lavoro. Alcuni pensavano che avessimo raggiunto l’immunità di gregge e questa narrazione è stata utilizzata da molti, mentre le poche voci che invitavano alla cautela non sono state ascoltate».
In questo contesto gran parte dell’Europa sta seguendo una strategia di convivenza mentre dovrebbe perseguire una strategia di eliminazione del Covid-19, e l’Italia si sta muovendo in analogia a quanto sottovalutato dal governo indiano. Pressato da forze politiche al suo interno e da settori della società esasperati dalle perdite economiche il governo italiano sta cioè riaprendo pezzi significativi di attività in presenza di un’ampia circolazione del virus, una forte pressione sui servizi sanitari, un sistema sanitario sofferente per carenza di personale, un personale mediamente anziano e provato fisicamente e psicologicamente e coperture vaccinali non ancora soddisfacenti.
Il governo attuale è nato sull’idea di coesione nazionale per affrontare la pandemia. Il successo della sua azione sarà possibile solo se, appunto, sarà coeso e se baserà le sue decisioni, anche impopolari, sull’evidenza scientifica. Ogni deroga all’una o all’altra sarà causa di infelicità ravvicinate. Facciamo in modo che non sia così.