Opinioni

I messaggini. Gli sms, costosi, in disuso ma "scritti bene"

Luigi Rancilio venerdì 26 luglio 2024

Gigio Rancilio

Chi li usa ancora rischia di venire guardato come una persona che accompagna i figli in spiaggia, indossando giacca e cravatta. Gente sicuramente elegante, ma considerata fuori dal tempo. A dare retta alle mode e ai numeri non c’è partita. Chi vuole mandare un messaggio dal cellulare ormai usa soprattutto WhatsApp e i più giovani anche i messaggi diretti via social. In dieci anni i cari, vecchi sms sono crollati: in Italia ne spedivamo 77,78 miliardi nel 2013, oggi si fermano a 4,10 miliardi. Secondo Assium, l’associazione degli utility manager italiani, che ha realizzato una apposita indagine sul settore, rielaborando i dati ufficiali forniti dall’Autorità per le Comunicazioni, siamo passati da una media di 790 sms al mese per utente ai 4 messaggi mensili del 2023. E magari alcuni di quei quattro li abbiamo usati solo per inviare a chi ci aveva cercato al telefono senza trovare risposta uno di quei testi preimpostati del tipo: scusa, ora non posso parlare; posso chiamarti più tardi? eccetera.

Eppure esistono ancora i fan degli sms. E non necessariamente sono anziani. Scommetto che nessuno di loro però ricorda che il primo sms della storia (la sigla sta per Short Message Service, cioè Servizio di messaggi brevi) è stato inviato oltre trent’anni fa. Era il 3 dicembre 1992. Venne spedito da un computer a un Orbitel 901, cioè a un antesignano dei cellulari. Il testo del messaggio era: Merry Christmas. Un regalo di Natale all’umanità, che all’inizio del 1993 venne replicato da cellulare a cellulare, con un SMS inviato (dicono) da uno stagista della Nokia, che allora era una delle realtà più importanti del settore. All’inizio spedire un SMS dai nostri cellulari costava una fortuna. Senza alcuna garanzia che fosse stato letto dal ricevente. E se decidevamo, per esempio, di aggiungere una foto, il prezzo diventata ancora più salato. Eppure il suo costo industriale per le compagnia telefoniche era quasi irrisorio. Oggi all’incirca 0,1 centesimi di euro a messaggio. Eppure li pagavamo cari e anche oggi il prezzo applicato a chi invia un SMS oltre la quantità prevista dal proprio abbonamento può arrivare a oltre 100 volte il suo costo. Quando nel 2009 uscì WhatsApp, dove mandare messaggi anche con foto e video era gratis, gli utenti fecero festa. In Italia esplose qualche anno dopo. Con tutto ciò che conosciamo, nel bene nel male. Dalle chat invase di messaggi spesso inutili, all’ansia che ci prende mentre attendiamo che appaia la spunta blu accanto al messaggio che abbiamo inviato (che certificata che è stato letto). Per non parlare della spunta grigia che indica che il messaggio è stato sì inviato, ma non ancora ricevuto dal destinatario, che potrebbe, ad esempio, non essere momentaneamente connesso ad internet o (peggio) averci bloccato.

WhatsApp ci ha insegnato a non saper più aspettare. Ha modificato il nostro linguaggio, facendo spesso sparire dai nostri messaggi i segni di punteggiatura, abbreviato le parole e aggiunto gli emoji, cioè i segni grafici tipo le faccine che ridono e i cuori. Ha reso tutto più veloce ma anche un po’ più barbaro. Poi ci sono loro: i fan degli SMS. Quelli che ne amano l’ordine, che usano sempre la punteggiatura e non sbagliano mai a scrivere una parola. Sono gli amanti delle cose fatte per bene, dell’eleganza della comunicazione. Ma soprattutto ci piace pensare che siano anche i fan del pensiero slow. Dei ragionamenti lenti, quelli che hanno bisogno di tempo per formarsi e che quando diventano messaggi non amano sprecare o sporcare le parole.

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