L'eredità di Camaldoli /1. Costituzione casa comune. Il personalismo fattore di unità
Marta Cartabia
Tra il 18 e il 24 luglio 1943, proprio alla vigilia della caduta del fascismo, nel monastero di Camaldoli si radunò un gruppo di studiosi di ispirazione cristiana, spinti dall’«urgenza di prendere posizione di fronte alle più vive e dibattute questioni sociali ed economiche», di fronte a quella che loro stessi definivano una «crisi di civiltà».
Frutto di quella settimana di lavoro fu la stesura del Codice di Camaldoli, uno dei testi fondamentali di riferimento nella scrittura della Costituzione italiana.
Se Sergio Paronetto fu il regista indiscusso della redazione del Codice, la sua elaborazione fu un’opera collettiva, a cui contribuì un nutrito gruppo di personalità che avrebbero poi ricoperto ruoli importanti per la vita della Repubblica. Vi compaiono economisti di spicco come Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni; giuristi del calibro di Giuseppe Capograssi, Giorgio La Pira e Aldo Moro per menzionarne solo alcuni, e politici emergenti come Paolo Emilio Taviani.
Quel lavoro lasciò una traccia importante nel testo della Costituzione italiana, soprattutto nella prima parte dedicata ai diritti fondamentali e nella parte dedicata ai principi economici, sociali e al lavoro. Relatori alla Costituente su queste parti furono, tra gli altri, Giorgio La Pira e a Paolo Emilio Taviani. In questi ambiti, il Codice di Camaldoli non si limitò a ripetere i contenuti della dottrina sociale della Chiesa, che pure costituiva un punto di riferimento per i suoi autori, ma approdò a un pensiero originale.
Affrancandosi dalle ideologie dell’epoca, gli autori del Codice avevano compreso che le grandi parole cardine del costituzionalismo – dignità umana, libertà e eguaglianza – sarebbero rimaste vuote proclamazioni retoriche se non fossero state accompagnate dall’impegno a realizzare concrete condizioni di vita economica e sociale capaci di rendere effettivi quei grandi ideali.
In questa ricerca di risposte adeguate ai problemi della vita reale delle singole persone e del popolo italiano nel suo insieme, il lavoro di Camaldoli ha saputo offrire spunti di sintesi e terreni di incontro su cui potessero convergere anche le altre componenti dell’Assemblea Costituente.
Il partito cattolico non poteva cedere a una tentazione egemonica, perché – prima e al di là di ogni altra considerazione – non aveva i numeri per poter imporre le proprie convinzioni e doveva fare i conti con l’“altro”, con le sue idee e con i suoi sostenitori. Eppure ebbe un certo successo: non con la forza dei numeri, ma con la forza della persuasione.
C’è un tratto unico e originale che, a mia conoscenza, contraddistingue la forte personalità del costituzionalismo italiano nella comune famiglia del costituzionalismo europeo e internazionale ed è quello del valore dei rapporti. Nella parte prima della Costituzione i diritti fondamentali della persona sono organizzati intorno a quattro titoli, ciascuno dei quali è dedicato a un gruppo di “rapporti”: civili, etico-sociali, economici, politici.
La persona umana nella Costituzione è ritratta attraverso i suoi rapporti.
Non è chi non veda in questo connotato del costituzionalismo italiano un’eco nitida del personalismo cattolico, incentrato proprio sulla relazionalità della singola persona. In tal modo si coniugava, ad un tempo, il valore dell’individuo, radicato nella tradizione liberale, e la sua dimensione sociale e comunitaria, punto di forza dei partiti progressisti.
Per i protagonisti di Camaldoli e per molti dei nostri Costituenti, il valore delle relazioni per la persona umana non era solo proclamato nelle proposizioni costituzionali, ma era stato anzitutto vissuto in una fitta trama di relazioni, che li resero pronti a disporsi in ascolto di chi portava istanze talora anche fortemente contrastanti con le loro.
È in questa coincidenza tra l’enunciato e il vissuto che risiede, credo, l’autorevolezza della nostra Costituzione e il segreto della sua longevità.
La Costituzione italiana è una costituzione di tutti, voluta e supportata da una amplissima maggioranza.
E questo fu ed è il suo punto di forza.
A 75 anni dalla sua entrata in vigore, la Costituzione regge l’urto del tempo, specie nelle sue parti maggiormente condivise, che peraltro sono quelle fondative, quelle che su cui si sostiene l’intera struttura della casa comune, come usava dire Giorgio La Pira.