Opinioni

Segnali. La reazione che non ti aspetti dai mercati. Cosa spinge al rialzo lo spread?

Marco Ferrando lunedì 10 giugno 2024

Dalle urne è uscita un’Italia politicamente più forte, certo, ma anche un’Europa più “estrema” e probabilmente meno incline alla pazienza con chi chiude la fila. Ci sono queste due spinte contrapposte negli scenari disegnati (e prezzati) ieri dai mercati finanziari, subito dopo il voto europeo: a farne le spese è stato anzitutto l’euro, calato sul dollaro, ma anche i titoli di Stato con annessi spread. I mercati non sempre c’azzeccano, ma i ragionamenti un po’ brutali a cui sono abituati, soprattutto in epoca di algoritmi, possono ispirare considerazioni che vanno oltre alla finanza. Da ieri, visto lo scossone elettorale tutta l’Europa è considerata un po’ meno affidabile della settimana scorsa, e sulla base di questa considerazione tutte le principali obbligazioni governative continentali hanno visto crescere i propri tassi di interesse. Ma qualcuno ha sofferto più degli altri: la Francia, al centro del terremoto politico più marcato, ma anche l’Italia. Infatti il differenziale tra il rendimento del Btp decennale e il Bund tedesco, indicatore per definizione del rischio di casa nostra, è salito a 140 punti (massimo da fine 2023) e il tasso si consolidato sopra il 4%.

Cosa spinge gli investitori allo scetticismo di fronte a un Paese che per una volta ha dato segnali inequivocabili e improntati alla stabilità? Il problema non è l’Italia, ma il contesto con cui dovrà misurarsi. Un’Unione europea sicuramente più incerta, dove la maggioranza Ursula pare in grado di reggere ma con leader indeboliti, che non potranno non tenere in maggior conto le pressioni centrifughe delle destre in ascesa e dello scarso entusiasmo per opzioni chiave come il debito comune. Morale: il rischio di un’Europa meno disposta a fare sconti, o meno tollerante verso chi si porta dietro i fondamentali economici peggiori. A partire proprio dall’Italia con il suo rapporto debito/Pil al 137,3%, secondo solo a quello della Grecia (che peraltro può contare da tempo su uno spread più basso).

Anche perché, ragionano i mercati, c’è anche dell’altro. Finora l’Italia, come il resto d’Europa e non solo, ha beneficiato di un clima sui mercati di sorprendente stabilità, in cui la crescita economica pur in rallentamento (ieri si ragionava di un possibile +1% per il Pil nel 2024) è stata ritenuta più che sufficiente a fugare ogni timore di sostenibilità dei conti pubblici sul medio-lungo periodo: la conferma è nei rating, intatti da due anni, e in uno spread fino all’altro ieri vicino ai minimi storici. Una musica destinata però a cambiare per più motivi. Accanto alle incognite politiche dei prossimi mesi, quando si definiranno i rapporti di forze e gli equilibri politici dentro la futura Commissione, ci saranno anche altre variabili destinate a pesare sul Btp, a partire dalla continua riduzione del programma di acquisti da parte della Bce e dal possibile disallineamento delle politiche monetarie con la Fed.

Allora un’Italia più tonica sarà con ogni probabilità attesa da un test sempre più impegnativo sui mercati. Una prova di stress, per valutare la tenuta politica ma anche e soprattutto finanziaria a ormai tredici anni dalla crisi dei debiti sovrani e a dodici dal “whatever it takes” di Mario Draghi, che – con il discorso più politico mai visto da parte di un banchiere centrale – fece intendere che il processo di integrazione europea basato sull’euro non era a rischio. Il voto del fine settimana rimette tutto in discussione, comprese quelle certezze granitiche su cui i mercati hanno costruito la fiducia degli ultimi anni. E che ora andrà ri-argomentata, a livello comunitario ma anche nazionale. Avere una leadership forte potrà essere di grande aiuto, ma intanto dai mercati un primo, piccolo, segnale è arrivato.