Roma e Berlino, media e polemiche. Cosa (non) fa la politica seria
Una rondine non fa primavera e un titolo e un commento di giornale possono fare molte cose, ma non sono – in sé e per sé – un fatto politico di prima grandezza. Saggezza popolare e buon senso dicono questo. Ma è davvero così?
Quanto alla primavera ne siamo certi: le rondini – ormai più d’una nei nostri cieli – non l’hanno portata. La lotta contro il coronavirus continua, infatti, a rinchiuderci in un strano e doloroso inverno che minaccia di stringere e rallentare, ancora e ancora, il cuore della bella stagione. Primavera, dunque, per la nostra parte di italiani e di europei possiamo farla noi, superando questa drammatica crisi senza tentennamenti, egoismi e alterigie.
Quanto al potere di un titolo e di un commento di giornale, ogni dubbio sembra purtroppo lecito. E questo a causa dell’entusiasmo feroce con cui ieri piccoli e grandi esternatori politici di casa nostra si sono precipitati nella breccia aperta dalla cannonata di "Die Welt", grande giornale tedesco che ha sparato la solita, indiscriminata e spregevole accusa di mafiosità contro tutti gli italiani (la mafia purtroppo esiste ed è una piaga aperta, in Italia e anche in Germania). "Die Welt" lo ha fatto per sostenere il punto di un presunto "dovere della fermezza" della cancelliera Merkel nell’impedire una svolta solidale della politica sociale e fiscale della Ue.
Argomentazione che colpisce, come tutti i velenosi luoghi comuni razzistoidi che purtroppo hanno ripreso a imperversare in Europa. Ma colpisce ancor di più il furore polemico politico e la veemente richiesta di presa di distanza e di formali scuse rivolta da Roma al Governo di Berlino per l’articolo di un quotidiano. Come se il Governo di un Paese democratico potesse permettersi di approvare o censurare l’opinione, anche la meno elegante o la più becera, espressa su di un organo di informazione.
In un Paese democratico, e nell’Unione Europea che sinora abbiamo faticosamente costruito, se e quando nel mestiere d’informare e di esprimere opinioni si superano i limiti di legge, della deontologia o anche solo del buon gusto, ci sono – dovrebbero sempre esserci – giudici legittimi e efficaci. «Non una mezza crisi diplomatica», come ha saggiamente commentato Giovanni di Lorenzo, direttore italotedesco del settimanale "Die Zeit" che, contemporaneamente all’acre commento di "Die Welt", ha lanciato un appello pro-Italia firmato da molti e illustri personaggi. Mentre "Der Spiegel", altro settimanale che in passato aveva confezionato copertine e inchieste urticanti sul nostro Paese, sin dalla serata di mercoledì 8 aprile ha pubblicato un commento opposto a quello di "Die Welt" e in cui è lo stesso direttore Steffen Klusmann a definire «gretto» e «vigliacco» un no di Berlino all’emissione di Eurobond richiesta soprattutto dall’Italia nel quadro della comune lotta contro la pandemia e le sue conseguenze sociali ed economiche. Si potrebbe concludere che una partita mediatica tutta tedesca si è conclusa due a uno per l’Italia.
E invece no. E invece sembra che più d’uno, a Roma, non aspettasse altro. Un’occasione per regolare, a parole, quei conti che nei fatti si fatica a far tornare. Ma per questa strada non si va lontano. L’onore dell’Italia e il futuro della nostra gente e degli altri popoli dell’Unione si difendono non con polemiche furbe, ma con scelte forti, coraggiose e innovative, qui e in Europa. È la strada che pareva ormai intrapresa, meglio restarci. E meglio, al cospetto dell’opinione pubblica, dare molto più giusto valore all’idem sentire degli europei, tedeschi e italiani per primi, piuttosto che agli insulti del commentatore di turno. Questa è una seria politica. E se questa politica produce – come ieri sera nell’Eurogruppo – un qualche utile compromesso, meglio usarlo bene. E passo dopo passo farlo evolvere, piuttosto che parlarne male.