Mondiali di Volley. Le ragazze d’argento e che cosa è davvero da italiani
Durante il torneo mondiale femminile di pallavolo abbiamo sentito più volte l’inno di Mameli cantato da tutta la squadra e quindi anche da una italiana nera della mia città, Padova. 'Fratelli d’Italia', sentivo, la guardavo e mi chiedevo: 'Dunque è mia sorella?'. 'L’Italia s’è desta': la riguarda? 'L’elmo di Scipio' è cosa sua? 'Dov’è la Vittoria – le porga la chioma', come facevano le schiave a Roma, chinando la testa davanti ai padroni: lei, nera, è una padrona romana? La mia Vittoria è una sua vittoria? A tutte le domande va risposto 'sì'. E allora la nuova domanda diventa: per l’inno di Mameli, esser cantato da una nera è un successo o un degrado? Un successo. Vuol dire che si potenzia, s’allarga e s’ingrandisce. Qui, nei paesi intorno alla mia città, s’è svolta una gloriosa Resistenza, tanti ragazzi sono morti coraggiosamente (alcuni tremando, ma anche quello è coraggio), e i sindaci li commemorano ogni anno, una volta m’han chiamato a tenere un discorso, ci vado, e mi trovo davanti anche scolari e scolare nere.
Figli d’immigrati. Nasce un dialogo, sapevan tutto. Conoscevan la storia dei martiri meglio dei compagni di classe figli di genitori italiani. È un progresso commemorare partigiani italiani davanti a scolari neri? Sì, è un progresso. Per i partigiani è un ampliamento o un fallimento della loro storia, del loro esempio? Un ampliamento, un prolungamento. Ne sarebbero contenti? Sorpresi ma contenti. Sentirebbero di esser morti per qualcosa o per niente? Per qualcosa di più di quello che credevano, per molto, per tutto. Pochi giorni fa, da queste parti, su un bus della catena Flixbus, in partenza da Trento, una signora italiana era già salita, quando vede salire un ragazzo nero, ha il biglietto in mano, e va a sedersi accanto a lei. «No caro – fa l’italiana –, tu sei nero, va’ a sederti in fondo, quello è il tuo posto».
È nato un parapiglia. La società Flixbus ha chiesto scusa pubblicamente, per iscritto. Chi ha ragione, la viaggiatrice italiana o la società? La società. Chi è più italiana, tra le due? La società. Io ricordo ancora quando sono arrivati i primi soldati americani liberatori, erano neri, e dopo essere arrivati a me, che sto un po’ più a Sud, sono arrivati anche a Trento, dove sta la viaggiatrice che non vuole un nero accanto. Quei soldati neri liberatori han fatto l’Italia così com’è. E i loro discendenti non possono salire su un autobus e sedersi? Ma non è neanche questione di merito, è questione di dignità.
L’esercito liberatore aveva soldati neri e non aveva soldati rossi, e questo cosa vuol dire, che se salisse sull’autobus un uomo dalla pelle rossa non dovremmo farlo salire? Ha il biglietto, salga e si sieda. Se si siede accanto a me, benissimo, nascerà una splendida conversazione, se troviamo una lingua-ponte. Sarà un incontro memorabile. Un incontro è dialogo, un dialogo è confronto, e non c’è confronto più interessante di quello fra civiltà o culture diverse.
Appartenere a una civiltà o una cultura vuol dire averla nel sangue come una eredità genetica, le scolarette nere che sapevan tutto dei miei partigiani erano più italiane degli scolaretti bianchi che ne sapevan poco o niente. Sulla bocca della mia concittadina nera che gioca nella nazionale di pallavolo e canta l’inno di Mameli con tanta passione, buttando la testa avanti e indietro come se fosse la palla con cui gioca, l’inno di Mameli suona benissimo, anzi oserò dire una bestemmia: è inventato, inconsciamente, per questo. E non può, la pallavolista italiana-nera mia concittadina, salire su un mezzo della Flixbus? Una italiana-bianca ne ha fastidio? Ma scenda l’italiana-bianca. È lei che non fa andare avanti la storia e la fa andare indietro.