Editoriale. Cosa ci dice la vittoria della Fpö in Austria
Davanti alle sfide che crea l’avanzata di forze sovraniste portatrici di un nazionalismo etnico, dobbiamo cominciare a porci in modo diverso (a meno di essere pienamente d’accordo con quelle posizioni). È necessario fare uno sforzo di pensiero divergente, meno legato alle risposte consuete, non sbagliate ma ormai un po’ logore e inefficaci. Domenica, in Austria, i liberali della Fpö hanno conquistato quasi il 30% dei voti diventando il primo partito del Paese. Si tratta di una formazione di diretta ascendenza nazista per almeno una parte dei suoi fondatori, nel secondo dopoguerra. La sua parabola l’ha portata da una iniziale tendenza liberal-conservatrice, attraverso scissioni a destra e sinistra, all’attuale leadership di Herbert Kickl, controverso ex collaboratore di Jörg Haider, suo predecessore con simpatie hitleriane negli anni Novanta. Kickl vorrebbe l’incarico di formare il governo per assumere la qualifica di “cancelliere del popolo”, come si faceva chiamare lo stesso Hitler, e di costruire una “fortezza Austria”. Kickl non è, però, un nazista del secolo scorso, né nell’immagine pubblica che dà di sé, né, probabilmente, nel suo intimo. Di certo, non mette in dubbio la “democrazia”. Ma è proprio qui che va esercitato un nuovo discernimento politico e un giudizio meno scontato rispetto alla generica condanna dei toni razzisti e per alcuni versi autoritari del programma della Fpö. Che cosa vuole dire democrazia per Kickl, come pure per il premier ungherese Viktor Orbán o per Alice Weidel e Tino Chrupalla, portavoce di Alternative für Deutschland (AfD, partito che, va ricordato, è nato nel 2013 come forza anti-europea da una costola della Cdu)? Essenzialmente, l’idea di base è che si scelga chi governa con l’espressione di voto dei cittadini, ma sono poi i rappresentanti che devono decidere per il meglio a favore di chi li ha selezionati, superando quindi regole e controlli che caratterizzano i sistemi liberali. Per l’opposizione e le minoranze (in primis, gli immigrati nei casi di Austria, Ungheria e Germania), cadono alcune tutele se deve prevalere l’interesse del popolo con cui si identifica la nazione. E come si pongono davanti alla democrazia gli elettori dei partiti sovranisti-populisti? Essi, in generale, tendono a equivocare tra l’efficacia dell’amministrazione - la realizzazione rapida ed efficiente delle promesse dei leader - e la vera essenza della liberal-democrazia. Quest’ultima, infatti, significa libertà, uguaglianza tra i cittadini, tolleranza, inclusione tramite norme procedurali e sostanziali, garanzie specifiche per chi si trova temporaneamente in minoranza. Nell’epoca contemporanea, si assiste a una divaricazione tra le prestazioni della democrazia intesa quale capacità di raggiungere un certo tipo di obiettivi pragmatici (crescita economica, sicurezza nelle strade) e identitari (omogeneità culturale, riduzione della velocità del cambiamento sociale) e i valori che la democrazia custodisce meglio di altri regimi: la libertà per tutti, la giustizia, l’uguaglianza, diritti civili e sociali senza eccezioni. È da questa, non sempre evidente, crepa che prende avvio la crisi della democrazia di cui tanto si parla senza trovare facili vie di uscita. Cominciare a evidenziare questa diversità di prospettive costituisce un elemento di chiarezza che aiuta a orientarsi e, di volta in volta, può mettere in chiaro gli obiettivi di ciascun partito. Non è soltanto questione di collocarsi su uno spazio monodimensionale destra-sinistra, perché quella partizione in un sistema genuinamente democratico non riguarda i fondamenti ma, per esempio, che tipo di giustizia sociale si vuole attuare (chi e come tassare) o che tipo di diritti e doveri disciplinare con la legge, quale modello di relazioni internazionali attuare. I liberali austriaci e l’AfD risultano, in questo senso, un po’ di destra e un po’ anche di sinistra. Certamente, non sono pienamente democratici nel significato descritto in precedenza. Questo non vuole dire che non possano partecipare alla vita pubblica (definire questo confine è esercizio vitale e insieme estremamente problematico, la Germania lo vuole esplorare rispetto ad Alternative für Deutschland). Ha senso però evidenziare le criticità insite nelle loro proposte. E incalzarli non inseguendo la loro agenda, bensì giocando la carta dell’alternativa nei termini esposti. Una recente ricerca, certamente da corroborare con altri studi, suggerisce che in Europa gli elettori “di destra” ostili alle migrazioni sono già in gran parte mobilitati, mentre lo sono molto meno quelli “di sinistra”. Se quindi si cerca di portare alle urne più persone con un richiamo “moderato” al tema della sicurezza, c’è il rischio di aumentare i consensi di chi moderato non è e sostiene – Fpö e AdD – la remigrazione, ovvero l’espulsione-deportazione non solo dei residenti stranieri irregolari ma anche dei richiedenti asilo. Le formazioni che conservano un’ispirazione cristiana, come sarebbe il caso della famiglia del Partito popolare europeo, dovrebbero allora insistere sui temi dell’universalismo, della fraternità, della dignità di ciascuno, valori che sono alla base della democrazia. Strategia utopistica, lontana dalla realtà dei dibatti attuali? Forse. Se però non si inverte la tendenza, gli spazi di democrazia potrebbero andare a ridursi davvero.