La commissaria Ue. Strumenti di tortura. Così diciamo basta al loro commercio
Gli impegni dell’Alleanza contro gli strumenti di sofferenza Caro direttore, ai sensi del diritto internazionale la tortura è un reato e non può essere giustificata in alcuna circostanza; l’uso sistematico della tortura è un crimine contro l’umanità. Benché sempre più Paesi abbandonino il ricorso alla pena capitale, migliaia di persone sono tuttora recluse nel braccio della morte in attesa di esecuzione. Oltre ad essere inumani, degradanti e immorali, questi due tipi di pena sono del tutto inutili, perché del tutto inefficaci nel ridurre la criminalità. I leader mondiali si esprimono spesso a favore dell’abolizione di tali metodi, ma paradossalmente i prodotti usati per la tortura e l’esecuzione della pena di morte continuano a essere scambiati liberamente attraverso le frontiere, dal venditore all’acquirente.
Si tratta di strumenti assolutamente terrificanti: manganelli chiodati, cinture a scarica elettrica, aste che tengono bloccata la vita o un arto infliggendo choc elettrici, sostanze chimiche utilizzate per l’esecuzione, camere a gas, sedie elettriche e molti altri; in breve, articoli utilizzati unicamente per provocare morte e sofferenze. Se la comunità internazionale è veramente sincera nel denunciare tali pratiche, bisogna dire basta a questo commercio. Le iniziative vanno nella direzione giusta. Lo scorso autunno, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, circa 60 Paesi si sono coalizzati per dare vita all’Alliance for Torture-Free Trade, Alleanza per un commercio libero da tortura.
Voluta innanzitutto da Argentina, Unione Europea e Mongolia, questa Alleanza mondiale intende andare oltre le promesse vacue e mettere in estrema difficoltà le società e i Paesi che distribuiscono questi prodotti in tutto il mondo. I Paesi dell’Alleanza si sono impegnati a raggiungere una serie di obiettivi concreti: imporre controlli e restrizioni alle esportazioni, anche con divieti di esportazione; istituire una piattaforma ad uso delle autorità doganali per monitorare i flussi commerciali e identificare i nuovi prodotti sul mercato; fornire assistenza tecnica per aiutare i Paesi ad adottare le leggi necessarie e scambiare buone pratiche per applicarle efficacemente. L’Alleanza lavora ormai a pieno ritmo.
All’inizio dell’estate, ad esempio, gli esperti di 38 Paesi si sono riuniti a Bruxelles per valutare come condividere il know-how e le risorse con i Paesi che intendono inasprire i controlli sulle esportazioni. La riunione ha fornito un contributo alla creazione di una rete internazionale di autorità doganali nazionali che si opporrà a questa piaga. Grazie soprattutto ai divieti di esportazione vigenti, negli ultimi anni per gli aguzzini è diventato sempre più difficile ed economicamente impegnativo procurarsi strumenti di tortura e materiale per l’esecuzione della pena di morte.
Chi produce e vende queste merci cerca però di eludere tali leggi, ricorrendo ad esempio al transito attraverso altri Paesi e rendendo ancora più urgente un maggiore impegno della comunità internazionale. La nascente cooperazione nell’ambito dell’Alleanza per un commercio libero da tortura è senz’altro un primo passo necessario, ma occorre fare di più. In occasione della riunione ministeriale del 24 settembre l’Alleanza si svilupperà dunque ulteriormente, vi aderiranno altri Paesi e ciò ne consentirà l’espansione. Aspetto ancora più importante, si discuterà dell’avvio di consultazioni in vista dell’adozione di uno strumento vincolante, permanente e universale: una convenzione delle Nazioni Unite che vieta il commercio di prodotti utilizzati per la tortura e la pena di morte.
Raggiungendo una massa critica di Paesi disposti a firmare tale convenzione, la comunità internazionale disporrebbe di uno strumento concreto per arrestare questa piaga, con un divieto esplicito di esportazione e importazione di tali merci che non hanno alcun impiego legittimo. L’esperienza acquisita con un altro trattato multilaterale in ambito commerciale è incoraggiante: la convenzione Cites (sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche a rischio di estinzione), è stata istituita per garantire che il commercio internazionale di esemplari di animali e piante selvatici non ne minacci la sopravvivenza. Attualmente la convenzione, alla quale aderiscono 183 Paesi e altri soggetti, assicura la protezione di decine di migliaia di specie animali e vegetali a rischio di estinzione. Un’altra esperienza ispirante è stata nel 2013 l’adozione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una schiacciante maggioranza, dello storico Trattato sul commercio delle armi (Att).
Scopo dell’Att è impedire i trasferimenti non regolamentati e irresponsabili di armi, che inaspriscono e prolungano i conflitti, e promuovere la responsabilità, la trasparenza e la rendicontabilità nel commercio mondiale di armi. Analogamente ai due esempi citati, un trattato che vieta il commercio di prodotti utilizzati per la tortura e la pena capitale porterebbe alla creazione di un quadro vincolante a livello internazionale. Quando lo scorso anno è stata istituita l’Alleanza per un commercio libero da tortura, alcune vittime hanno raccontato le loro sofferenze.
«La tortura non serve a uccidere o a estorcere informazioni – ha affermato una di loro –. È fatta per distruggere l’anima». Fortunatamente molti dei sopravvissuti hanno trovato la capacità e la forza di passare dall’orrore al riscatto. Ciononostante, la tortura e la pena di morte continuano a essere una realtà quotidiana in tutto il mondo e la comunità internazionale deve fare molto di più per sottrarre ai carnefici i terribili strumenti di quest’attività.
Commissaria per il Commercio, Unione Europea