Ius soli. Così Trump ferisce e svuota anche il sogno «americano»
Tra le numerose esternazioni con le quali il presidente Trump sta in questi giorni accompagnando il cammino della carovana di migranti, decisi a raggiungere il confine statunitense, vi è la solenne promessa di una imminente riforma della legge sulla cittadinanza, nella parte in cui prevede che chiunque veda la luce sul suolo della nazione ne diventi immediatamente cittadino.
Il principio dello ius soli trova infatti negli Stati Uniti d’America la sua interpretazione più autentica, producendo conseguenze assai più radicali rispetto a quelle che si determinano attraverso le versioni decisamente più blande adottate in Europa, dove l’applicazione del diritto di suolo è di norma circoscritta ai figli dei migranti regolarmente soggiornanti da un certo numero di anni, o nati anch’essi sul territorio statuale.
Se non fosse per i toni e gli intenti palesemente strumentali e addirittura minacciosi, la riforma annunciata dal presidente americano sarebbe perfettamente in linea con un processo di progressiva convergenza delle legislazioni nazionali che, anche sulla scorta delle raccomandazioni prodotte dai comitati internazionali di esperti, ha visto diversi Paesi rimettere mano alle loro normative in questa materia. Superando, per un verso, la logica di “chiusura sociale” che ispira le legislazioni fondate sul diritto di sangue che, interpretando la cittadinanza come un privilegio da trasmettere intergenerazionalmente, hanno generato una crescente discrasia tra la comunità dei cittadinielettori e la comunità dei residenti-contribuenti. Sfumando, per l’altro verso, gli automatismi che, quando essa si acquista senza alcun requisito di adesione ai valori fondativi della nazione (se non altro nella forma di una dichiarazione di volontà), hanno finito con lo “svalutare” la cittadinanza e il suo ruolo di collante identitario. Per effetto di questi sviluppi, le legislazioni dei Paesi democratici incorporano in genere elementi sia di ius sanguinis sia di ius soli, nel tentativo di coniugare esigenze diverse: quella di preservare i confini etnoculturali della nazione, ossia i caratteri e i valori che ne definiscono l’identità collettiva; quella di includere i migranti nella comunità politica, così da evitare che la crescita di stranieri lungo-soggiornanti comprometta non solo la convivenza, ma anche la stessa qualità della democrazia; quella di massimizzare l’impatto positivo dell’immigrazione, rendendo la cittadinanza uno strumento per l’accesso a maggiori opportunità, piuttosto che un incentivo che corona il successo dei percorsi individuali di integrazione; l’esigenza, infine, di mantenere nel tempo un legame con i propri emigranti e con le comunità diasporiche.
Ciò nondimeno, vi sono almeno due ragioni che conferiscono a questa vicenda un significato epocale, che va ben al di là dei toni rozzi spesso privilegiati dal presidente americano. La prima è il contenuto di rottura che l’annuncio di Trump assume nell'esperienza di una nazione per la quale l’immigrazione rappresenta una componente costitutiva della storia e dell’identità nazionale, tanto quanto è il migrante a rappresentare l’archetipo del cittadino americano. Certamente la vicenda di questo Paese è stata percorsa anche da profondi conflitti interetnici, problemi di convivenza, discriminazioni istituzionalizzate. E tuttavia, è proprio la cittadinanza ad avere legato tra loro tante generazioni di migranti, cristallizzandone le speranze individuali attorno al mito collettivo del sogno americano. Conferita automaticamente perfino ai nuovi nati di chi è riuscito, sia pure fortunosamente e irregolarmente, a varcare il confine del Paese, la cittadinanza americana è, al contempo, remunerazione per l’intraprendenza individuale, fatalistico sigillo della fortuna toccata in sorte, viatico per l’accesso ancor più che ai diritti – in un sistema di welfare assai meno generoso di quelli europei – alla promessa di mobilità sociale. Per se stessi, ma soprattutto per i propri figli. Si può allora facilmente comprendere come, al di là del suo effettivo impatto, l’annuncio di Trump si configura come uno spartiacque nella storia americana, reso ancor più drammatico dall'approssimarsi di una lunga catena umana: uomini, donne e bambini che, col loro esodo plateale e ostentato, “votano coi piedi”, lasciandosi alle spalle la disperazione; e tuttavia carichi di speranza nel loro agognare, come i milioni di migranti che li hanno nei decenni preceduti, il “sogno americano”. Un sogno forse più sbiadito di un tempo.
Ma pur sempre un sogno. Per sé e soprattutto, come non cessano di affermare, per i propri figli. Quelli già nati e quelli che – forse – vedranno la luce al di là del muro. La coincidenza temporale tra l’annuncio di Trump, la “carovana” e le elezioni di Midterm non è certo casuale; il suo carattere strumentale è tanto evidente da non dover neppure essere commentato. E tuttavia, se proviamo a guardare oltre questa sconcertante vicenda non possiamo esimerci dal fare i conti col fatto che nessuna legislazione in materia di cittadinanza, per quanto inclusiva e “generosa”, riesce a essere risolutiva. Ed è questa constatazione la seconda ragione che rende quello che stiamo commentando un frangente dal significato epocale, che ci obbliga a toccare con mano, in tutta la sua drammaticità, l’insanabile arbitrarietà dei confini delle nazioni. Sul piano politico-giuridico, infatti, qualunque soluzione in materia di cittadinanza appare imperfetta e inadeguata nel dare compiutamente forma all’appartenenza, poiché i confini degli Statinazione sono per loro natura incapaci di contenere le vite e i legami delle persone dentro una società sempre più globale e interdipendente. Ma soprattutto, sul piano morale, qualunque soluzione appare imperfetta e drammaticamente inadeguata a rispondere alle istanze di protezione e giustizia rese via via più impellenti dalla crescita delle disuguaglianze globali. La carovana che, immune a qualsiasi minaccia, marcia ostinatamente verso il Muro, determinata a oltrepassarlo, è la rappresentazione plastica di un fallimento globale e della responsabilità che la comunità internazionale è chiamata ad ottemperare. Quella di offrire sicurezza, opportunità e protezione a ogni cittadino del mondo. E a ogni cucciolo d’uomo e di donna che vedrà la luce. Al di qua o al di là di qualsiasi Muro.