Catechismo e pena capitale/2. Così si rafforza la tutela di ogni vita umana
La nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica sulla pena di morte insegna che l’esecuzione capitale «è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona», inalienabile anche quando essa si sia macchiata di crimini orrendi. Anche se sfigurato dal male commesso, l’uomo rimane la sola creatura che porta indelebilmente impressa l’immagine e la somiglianza di Dio stesso (cfr. Gn 1, 26). E questa per ogni cristiano è robusta ragione antropologicateologica, sufficiente per escludere ogni violazione deliberata e diretta della vita fisica e ogni attentato consapevole e volontario alla dignità dell’esistenza terrena di qualsiasi essere umano, qualunque sia il fine che ci si prefigge attraverso queste azioni, che siano attuate a titolo individuale oppure dalla società.
A una attenta considerazione non sfugge come questo sviluppo della dottrina cattolica sulla pena di morte – che cristallizza in un rifiuto puntuale quanto già in precedenza era stato tollerato come una ipotetica eventualità nei «casi di assoluta necessità», peraltro «ormai molto rari, se non addirittura inesistenti» (versione precedente del n. 2267 del Catechismo) – abbia risvolti di rafforzamento etico e di ulteriore consolidamento della coesione interna dell’insegnamento magisteriale che riguarda anche altri attentati alla vita umana, posti in essere per fini differenti e in circostanze diverse dell’esistenza. Se la negazione della possibilità morale di togliere la vita a una persona vale anche per il reo di un delitto gravissimo e pure in rari casi e in situazioni straordinarie, a maggior forza questo divieto della coscienza certa e retta deve esercitarsi, senza eccezione alcuna, nei confronti di chi non si è macchiato di nessun crimine, dell’innocente fuor di ogni dubbio. È questo il caso – tra gli altri – dell’embrione e del feto umano, del neonato e del bambino, del portatore di handicap incapace di intendere e volere, dell’anziano affetto da malattie che ne compromettono l’attività mentale, delle persone in stato vegetativo persistente o di 'minima coscienza', dei pazienti sotto sedazione e dei malati nella fase terminale della loro vita. A modo di esempio, limitandoci alla vita prenatale e alla sua soppressione intenzionale attraverso le diverse forme di aborto, perde così ogni parvenza di presentabilità la già inconsistente argomentazione – circolante a partire dal XVII secolo e confutata efficacemente, tra gli altri, da sant’Alfonso Maria de’ Liguori ( Istruzione e pratica per li confessori , 1846), da Pio XI ( Casti connubii , II) e da san Giovanni Paolo II ( Evangelium vitae, 58) – che, nel caso dell’impropriamente detto 'aborto terapeutico', il concepito malato rappresenterebbe un 'aggressore' che attenta gravemente alla vita fisica o psichica o affettiva-relazionale della madre, rientrando così nella fattispecie dei 'soggetti pericolosi' per i quali non vi sarebbe altro mezzo di renderli 'inoffensivi' se non togliendo loro la vita.
Se anche la vita del colpevole deve essere preservata e amata, perché di lui, come di ciascuno di noi, Dio solo è il Signore (e d’ora innanzi nessuno potrà sollevare il benché minimo dubbio sulla dottrina cattolica in proposito), «queste e altre simili ragioni, per quanto gravi e drammatiche, non possono mai giustificare la soppressione deliberata di un essere umano innocente», prima o dopo la sua nascita ( Evangelium vitae , 58). La tutela irrinunciabile della vita del reo, rafforzata nella nuova versione del n. 2267 del Catechismo, rende ancor più rocciosa e urgente la tutela incondizionata di ogni innocente debole e indifeso, in qualunque stagione o circostanza della vita essi si trovino, da prima della nascita per tutto il cammino terreno e sino in prossimità della morte. E gli studiosi, leggendo la redazione riscritta di questa parte del Catechismo e la Lettera ai vescovi che l’ha accompagnata, avranno tempo e modo di approfondirle o integrarle con la loro scienza e sapienza: è questo il compito che spetta alla teologia e ad altre discipline. Papa Francesco e la Congregazione per la Dottrina della Fede hanno segnato la strada giusta: quella di uno sviluppo dell’insegnamento alla luce del Vangelo e nel solco dei documenti precedenti.