Così si muore e si spera. Due storie che aiutano a capire chi bussa alla porta
Quando la nave della Ong spagnola Proactive Open Arms ha attraccato a Pozzallo, lunedì, i soccorritori sul molo hanno notato subito, tra i 91 sbarcati, un ragazzo eritreo ridotto a pelle ossa, scheletrico. E però cosciente, come se la speranza di arrivare in Italia lo avesse animato e tenuto in vita fino all’ultimo, in quel tragico deperimento. Lo hanno portato all’ospedale di Modica, ma qui, poche ore dopo, il ragazzo è morto.
Di cachessia, cioè di fame, alle soglie dell’Europa. Aveva 24 anni. Alcuni altri sulla nave erano quasi nelle stesse condizioni. «Pelle e ossa, sembravano usciti dai campi di concentramento nazisti», ha detto attonito il sindaco di Pozzallo. Chissà da dove, da quale angolo dimenticato d’inferno al di là del mare provenivano quel migrante e i suoi compagni. Chissà che cos’hanno subìto. Chissà con che fervore pregavano Dio, mentre, ormai a bordo della grande nave, vedevano le coste della Sicilia prima annunciarsi come un’ombra lontana, e poi pian piano delinearsi con il suo profilo: terra, Italia, salvezza. Ma non per lui, per lo sconosciuto che, appena deposto in un letto d’ospedale, ha chiuso gli occhi, credendo di potersi finalmente abbandonare al sonno. E proprio in quell’attimo di pace la sua tempra ha ceduto.
Tra le centinaia di migranti che arrivano ogni giorno, ce ne sono di diversi: quasi guerrieri, militi obbedienti all’imperativo di sperare contro ogni speranza. Come i giovani fratelli libici che l’altro giorno sono approdati a Augusta, in una folla di 280. Ma quei tre, avevano una storia ancora più drammatica degli altri, alle spalle. Il minore, Allah, 14 anni, era malato di leucemia. I suoi fratelli più grandi dalle coste della Libia hanno preso un gommone e 200 litri di benzina, e si sono buttati con lui nel Mediterraneo. Verso l’Italia, dove i ragazzini malati li curano, non li lasciano morire. E dunque quei tre soli, in alto mare. Immaginatevi soltanto se accadesse a noi, se dei nostri figli, per curare il più piccolo gravemente malato, dovessero prendere il mare da soli, allo sbaraglio. Semplicemente folle, non è vero? Eppure accade, e se accade significa che l’unica ragionevole speranza stava in quel traversare il mare, disperatamente, senza nemmeno conoscere la rotta.
Chissà che viaggio, chissà che notte, dentro al mare nero e immenso. I tre sono stati soccorsi dalla nave di una Ong, miracolosamente ce l’hanno fatta. Nelle foto, Allah è un bambino con grandi occhi scuri, il colorito mediterraneo illividito dalla malattia. Ora è in ospedale, a Modica. Lo cureranno. I suoi fratelli sono due giovani, oscuri eroi. Ma, è inevitabile domandarsi, è possibile che simili casi disperati debbano ripetersi quasi ogni giorno, che anche i più deboli e malati si ritrovino ad affrontare la roulette della traversata, per avere una chance di sopravvivere? L’esperienza dei «corridoi umanitari» attuati dalla Cei con il Governo italiano e con la Caritas e Sant’Egidio e 'inventati' da quest’ultima Comunità assieme ai fratelli evangelici e valdesi, dimostrano che esiste un’ alternativa possibile, una strada che altri potrebbero seguire. Si tratta di tentare, si tratta di volerlo. Sappiamo come tanto umore collettivo in quasi tutta Europa, e in buona parte dell’Italia – come ha mostrato anche il voto – sia ormai in preda all’ansia di «invasione», e ostile all’accoglienza.
Eppure, giureremmo che anche nei cuori e nelle teste più chiuse all’altro le due storie di cui scriviamo non lascerebbero nessuno davvero indifferente. Quei tre partiti con 200 litri di benzina e un fratellino sfinito dalla malattia. Quell’altro, poco più che un ragazzo, ischeletrito dalla fame come troppi altri, e però tenacemente cosciente, allo sbarco; e poi falciato, nell’istante del sonno. Ci deve essere una strada, ci devono essere occhi, oltre al Mediterraneo, che vedano, che distinguano, che strappino a una morte quasi certa. Corridoi di umanità, aperti in luoghi in cui di umanità ne è rimasta ben poca. Corridoi più ampi e sorvegliati che alimentino e ravvivino anche la nostra, di umanità, di cittadini d’Europa, un’umanità spaventata e irrigidita – e Dio sa, se non ce ne è bisogno.