Botta e risposta. «Così i bonus perpetuano l'iniquità». E nessuna scelta pro-famiglia
Gentile direttore,
perdoni la semplicità di due conti 'in famiglia': è noto che tra i beneficiari dei famosi 80 euro ve ne sono molti che a causa dei rinnovi contrattuali e conseguenti aumenti di stipendio supereranno la fascia di reddito che consente di ricevere il bonus. È evidente che si tratta di coloro che si trovavano ciascuno in prossimità del limite superiore del reddito consentito, e una famiglia con due lavoratori di questo tipo percepisce già oggi 160 euro mensili di bonus. Se entrambi avranno un aumento di 85 euro mensili per effetto dei contratti rinnovati senza perdere il bonus, come nell’intenzione del governo, il saldo attivo complessivo per due lavoratori magari senza figli sarà di 330 euro (più del quadruplo!). Un lavoratore o una lavoratrice da cui dipenda una famiglia monoreddito, che per pochi euro l’anno si trovava escluso perché aveva appena superato il limite indicato per il bonus, nulla ha avuto e nulla avrà, e non beneficerà di alcun reddito di inclusione, perché evidentemente considerato 'benestante'. La politica per la famiglia non è fatta di bonus, ed è cosa distinta dal sostegno alla povertà (anche molti single sono poveri). Dovrebbe invece partire da una seria riforma fiscale, a cominciare dai ticket sanitari, (oggi calcolati senza tener conto del numero delle persone), dal limite di reddito dei figli che li fa uscire dai familiari a carico (oggi scandalosamente basso), dalle spese detraibili (oggi con massimali tarati sul figlio unico), per finire con le imposte sulla casa (penalizzanti per chi la dà in uso a familiari, e per chi lavora lontano e deve pagare un affitto pur possedendo una casa) nonché il costo unitario delle utenze (penalizzante per le famiglie numerose che risultano falsamente 'sprecone' mentre sono le più virtuose considerando i consumi procapite). Ciliegina sulla torta, i libri scolastici: cambia l’impaginazione per poter vendere la nuova edizione (stessi autori, stessa casa editrice, nessun reale aggiornamento sui contenuti), tanto nessuno ha un fratello minore a cui passarli, e neppure può rivenderli. La buona politica, a volerlo, si può fare!
Lei, gentile dottor Tacchi, anche con la saggezza che viene dall’esperienza concreta, mette in fila tutta una serie di politiche per il sostegno della famiglia che andrebbero attuate. Ed evidenzia, a ragione, uno dei difetti dell’operazione 'bonus da 80 euro': quello di considerare solo il singolo contribuente e non tenere in conto il contesto familiare in cui vive. Non distinguendo così se il nucleo è mono o bireddito (e dunque godrà di uno o di due bonus), se tutto di lavoratori dipendenti o autonomi, formato da quante persone a carico. Continuando così a non assicurare quell’equità orizzontale – garantire un trattamento fiscale proporzionato al reddito disponibile in base ai componenti il nucleo – che resta il principale difetto del nostro sistema. Tutti nodi, assieme al problema degli incapienti, cioè di coloro che hanno redditi talmente bassi da non arrivare a usufruire delle detrazioni, che sottolineammo da subito, fin dalla primavera del 2014 (qui una delle analisi dedicate alla questione: https://tinyurl.com/yatmzwt3 ), suggerendo all’allora governo Renzi una serie di modifiche, a partire dalla trasformazione del bonus in un incremento delle detrazioni per figli a carico. L’allora premier tirò dritto, salvo assicurare, rispondendo proprio a un lettore di 'Avvenire' ( https://tinyurl.com/y9yuoaar ) che presto avrebbe «dedicato, puoi esserne certo, una attenzione particolare al tema del fisco per le famiglie. È urgente che si diano risposte da troppo tempo disattese», scriveva allora Renzi. Precisando addirittura: «So che tu [lettore] pensi al 'quoziente familiare' o, meglio, a quella sua versione italiana che va sotto il nome di 'Fattore famiglia'. Io penso che una risposta vada individuata presto e finalmente, dopo anni di chiacchiere, attuata. Con necessaria gradualità ma con decisione. È una questione di giustizia. Un’idea di Italia, sì, un’idea di Italia. Che sa di buono, sa di chi ce la vuole fare, sa di chi battaglia tutti i giorni per rendere la vita sua e degli altri più degna». Purtroppo questo impegno è stato mantenuto solo in minima parte e non certo nella direzione auspicata del 'Fattore famiglia'. Il refrain anche ai tempi dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, è sempre lo stesso: ora non ci sono i soldi per una tale riforma, ma appena possibile la faremo. In realtà non è così: il 'Fattore famiglia' costa 17 miliardi di euro nella sua piena attuazione, di cui in realtà solo 7 sono da finanziare interamente, perché 10 miliardi circa sono rappresentati dagli attuali sgravi, che andrebbero ricompresi nel nuovo sistema di 'no tax area' in base al numero dei componenti il nucleo. Addirittura, per avviare un primo modulo di riforma è sufficiente 1 miliardo di euro. Nell’analisi citata all’inizio avevamo dettagliato come – attraverso la revisione di alcuni altri benefici fiscali – era possibile finanziare interamente il 'Fattore famiglia' senza produrre nuovo deficit. Proprio l’operazione 'bonus da 80 euro' (costata 10 miliardi di euro) dimostra, però, come la valorizzazione della famiglia non sia tanto un problema di risorse da reperire, quanto di scelte e di volontà politica di portarle avanti. E purtroppo da decenni, con governi di diverso colore – e a livello locale con partiti e movimenti vari – non si trova chi abbia la lungimiranza e il coraggio di compiere e mantenere vive queste scelte.