Opinioni

Cosa attende il neo-leader di Confindustria. Coraggio e orgoglio la sfida di Squinzi

Sergio Soave sabato 24 marzo 2012
Giorgio Squinzi, un industriale di successo che è stato capace di inventare uno spazio non residuale per la chimica italiana, è diventato presidente di Confindustria in una fase cruciale. I giornali che portano la notizia della sua elezione sono gli stessi in cui si possono leggere dati più che preoccupanti sul crollo della produzione industriale nell’ultimo trimestre e la convocazione dello sciopero generale da parte della Cgil e la contrarietà del Partito democratico alla riforma del mercato del lavoro. Squinzi dovrà guidare la più importante associazione imprenditoriale per quattro anni che si preannuciano decisivi, e lo deve fare con un’organizzazione che ha perso la rappresentanza della maggiore impresa privata e con un mandato ottenuto con una maggioranza in cui sono state determinanti, per la prima volta, le imprese a capitale pubblico. Nella semplificazione giornalistica, Squinzi è stato presentato come sostenitore della "continuità" di Confindustria, in contrapposizione con le più radicali istanze di rinnovamento sostenute dal suo antagonista Alberto Bombassei. Tuttavia, la vicenda personale e professionale di Squinzi non ci consegna certo l’immagine di un cauto conservatore, al contrario parla di un uomo capace di innovare prodotti e sistemi di produzione e di scegliere collaborazioni qualificate e non certo di un gestore burocratico dell’esistente. D’altra parte la situazione dell’industria italiana, in cui fenomeni di metamorfosi produttiva e di capacità straordinarie di adattamento a un mercato più concorrenziale si accompagnano ad aree di stasi e di stanchezza, richiede uno stimolo che certo non può venire solo da politiche pubbliche, peraltro limitate oggettivamente dalla scarsità di risorse. Anche dell’organizzazione interna di Confindustria, che si è creata in una fase diversa, in cui il sistema contrattuale era centralizzato e si è dimostrato obsoleto, non c’è molto da conservare. Se Sergio Marchionne, a un certo punto, si è persuaso che per mantenere una grande impresa competitiva in Italia era indispensabile uscire dal sistema contrattuale gestito da Confindustra, un problema c’è e non può essere immiserito nella fisiologica (ma inusuale) competizione tra candidati alla presidenza dell’organizzazione. In un’economia di mercato le imprese sono la risorsa fondamentale per la crescita economica e oggi hanno bisogno soprattutto di una motivazione forte, che induca gli industriali a rischiare nella produzione invece che ritrarsi impauriti da una congiuntura sfavorevole e poco promettente. Per investire nell’industria, oggi, serve un quadro di riferimento contrattuale e normativo moderno ed efficiente, ma soprattutto serve coraggio e determinazione, che nascono solo da un orgoglio per la funzione che si può esercitare nella società. Contribuire nel dialogo e nel confronto con le altre rappresentanze sociali a costruire quel sistema di relazioni e dare motivazioni non solo immediatamente economiche all’investimento produttivo sono le sfide con cui Squinzi e la squadra di cui deciderà di circondarsi devono confrontarsi. Per il loro valore e per le difficoltà che le circonda, merita l’incoraggiamento di tutti.