Come si intende contrastare la povertà nel nostro Paese? Mettendo a fuoco quali obiettivi, attivando quali strumenti? Nonostante altre possano sembrare le emergenze di queste settimane, gli interrogativi si riaffacciano pressanti nel giorno in cui l’Istat ci consegna il nuovo spaccato su 'reddito e condizioni di vita' degli italiani e la legge di Stabilità approda all’esame decisivo della Camera. Nelle scorse settimane, infatti, si è sviluppato un ampio dibattito sul tema della riforma delle pensioni e delle misure contro la povertà degli ultra 55enni, sulla scorta della proposta avanzata dal presidente dell’Inps Tito Boeri. Dibattito a 'futura memoria', in realtà, visto che quel piano, risalente alla scorsa estate, era già stato accantonato dal governo che ha preferito rinviare il riassetto della previdenza. Mentre sull’intervento di contrasto alla povertà, in particolare infantile, previsto in questa legge di Stabilità dopo il primo annuncio non si è discusso per nulla. Un paradosso evidente. Anzi, un doppio paradosso alla luce del quadro disegnato ieri dall’Istat. Nel quale emerge, ancora una volta, la conferma che il fenomeno dell’impoverimento riguarda anzitutto le famiglie con figli e, in misura minore, le persone più anziane. Al di là di qualche decimale in più o in meno tra un anno e l’altro – con la diminuzione delle persone in famiglie gravemente deprivate e l’aumento invece di chi vive in nuclei a bassa intensità lavorativa – resta infatti molto, troppo alta la percentuale di cittadini a rischio di povertà o esclusione sociale. Si tratta in media del 28,3% con un picco addirittura del 39,4% per le famiglie con tre o più figli e del 39,2% per i nuclei con un solo genitore. Affrontare in maniera strutturale il problema dell’impoverimento è dunque sempre più ineludibile e urgente. Il governo Renzi ha cominciato finalmente a farlo stanziando 600 milioni di euro per il 2016, 1 miliardo nel 2017 e 1 miliardo pure nel 2018, secondo quanto inserito appunto nella legge di Stabilità. Cifre che, sommate ai fondi residui di strumentazioni analoghe (come il Sostegno di inclusione attiva varato dall’esecutivo Letta), dovrebbero permettere di mobilitare circa «un miliardo e mezzo all’anno e raggiungere così 250mila famiglie, 550mila bambini, circa un milione di persone», secondo le indicazioni del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Si tratterebbe della metà circa dei minori in condizioni di povertà assoluta (pari a 1 milione e 40mila) e poco meno d’un quarto delle persone in miseria. Solo l’avvio, dunque, di un percorso che dovrà necessariamente essere allargato per comprendere quantomeno tutte le persone in condizione di povertà assoluta, come da tempo sostiene il cartello di associazioni riunito nell’Alleanza contro la povertà con il progetto di Reddito di inclusione sociale. Ciò che però è risultato finora del tutto assente nel dibattito sulle misure da adottare è come – concretamente – attuare l’intervento. Per 'massimizzare' l’effetto sul piano dell’immagine, infatti, il governo potrebbe cadere nella tentazione di destinare tutti i fondi stanziati al solo sostegno monetario. Trascurando così l’attivazione della rete locale dei servizi di accompagnamento – una vera e propria presa in carico da parte dei servizi pubblici e del privato sociale – che riveste invece un ruolo fondamentale sia perché lo stesso sostegno monetario non finisca per essere disperso e inefficace, sia per assicurare ai nuclei coinvolti un orizzonte di uscita dalla condizione di povertà. Lo dimostra proprio la tormentata 'storia' degli interventi contro la povertà nel nostro Paese: scarsi nella dotazione, anzitutto, ma anche poco 'centrati' sui bisogni reali e che hanno spesso preso 'in contropiede' gli enti locali, come accaduto gli anni scorsi con la 'Nuova social card'. Il ministro del Lavoro ha confermato ieri di essere all’opera sul piano nazionale contro la povertà, ma sarebbe assai utile aprire una fase pubblica di dibattito sul tema. Non fosse altro che per fugare alcuni timori. Come quello, alimentato da qualche voce, che nel riordino delle misure di assistenza, a 'finanziare' di fatto l’intervento per i più poveri sia l’abolizione o la netta limitazione delle indennità di accompagnamento per disabili e anziani non autosufficienti. Innescando così una 'guerra tra poveri' – è il caso di dirlo – di cui non si sente certo il bisogno. Meglio allora cominciare a discuterne subito, a carte scoperte, per evitare equivoci e rendere finalmente efficaci gli interventi ipotizzati.