Opinioni

Da una ricerca internazionale incentivo a salvare le paritarie. «Concorrenza» scolastica: benefici reali per tutti

Roberto Carnero giovedì 29 novembre 2012
La presenza di scuole gestite da operatori privati produce un effetto significativamente positivo sul profitto degli studenti in Matematica, Scienze e Letteratura». Lo scrive nero su bianco uno studio commissionato non dalla Cei o dal Vaticano, ma da un’azienda che più laica non potrebbe essere. Si tratta di Pearson, il colosso mondiale dell’editoria didattica (da noi, Pearson Italia comprende alcuni marchi storici come Paravia e Bruno Mondadori), che ha realizzato una ricerca, intitolata The learning curve (La curva dell’apprendimento), volta a comparare i sistemi scolastici di 50 Paesi. Un dato, questo che abbiamo evidenziato tra i molti contenuti nel corposo dossier presentato a Londra martedì, che dovrebbe far riflettere chi ci governa, in questi giorni in cui la richiesta di pagare l’Imu alle scuole paritarie (la maggior parte delle quali cattoliche) rischia di determinare la loro chiusura. Un dato – guarda caso – passato sotto silenzio dai giornali che hanno dato notizia della ricerca (pregiudizio o distrazione? speriamo la seconda). Il ricco documento approntato da Pearson spiega, dati alla mano, che nei Paesi in cui viene offerta alle famiglie la possibilità di scegliere quale tipo di scuola far frequentare ai loro ragazzi questi riportano risultati mediamente migliori nelle diverse materie. Come si spiega? Semplice: un sistema in cui vige una concorrenza reale determina una gara in termini di efficacia ed efficienza da parte dei diversi soggetti operanti nel settore. Concorrenza reale, però, significa consentire a tutti di scegliere davvero. La conseguenza del ragionamento è che in Italia bisognerebbe cambiare il rapporto tra Stato e scuole paritarie, ma non nella direzione assurda della "legge di stabilità", bensì consentendo alle famiglie (attraverso appositi meccanismi: sgravi fiscali significativi, buoni-scuola ecc.) una possibilità effettiva di scelta. Lo studio di Pearson sottolinea infatti anche un altro dato: dalla possibilità concreta di scelta della scuola, scaturisce un beneficio che è ancora maggiore per gli studenti di estrazione socio-economica svantaggiata. È il caso, ad esempio, di Belgio e Paesi Bassi, dove le scuole private (spesso confessionali) sono finanziate direttamente dallo Stato. Spiega il dossier: «Se sono presenti più istituti non statali, in modo che il settore scolastico non sia amministrato secondo il modello unico di una sorta di "monopolio di Stato", i Paesi hanno performance migliori». La ricerca presenta poi altri elementi di notevole interesse. Ad esempio, un confronto tra la spesa per l’istruzione dei diversi Paesi. Ebbene, negli ultimi anni ci è stato detto da tutti i governi che si sono succeduti (di centrodestra e di centrosinistra) che la nostra spesa per l’istruzione era troppo alta e che andava ridotta. Peccato però che in Italia investiamo nella scuola, in percentuale sul totale della spesa pubblica, meno di tutti i Paesi presi in considerazione dall’indagine. Siamo al 9,05%, mentre la Finlandia e la Corea del Sud, le due nazioni con le migliori performance scolastiche, spendono rispettivamente il 12,13% e il 15,77%. La Francia il 10,38, la Germania il 10,36, il Regno Unito l’11,26. Ma veniamo battuti anche dall’India (10,74) e dall’Egitto (11,93). Cifre incontestabili, che smentiscono la vulgata politica oggi in voga in Italia, cioè che su istruzione e ricerca bisogna continuare a tagliare. Finlandia e Corea del Sud, dicevamo: i due Paesi migliori quanto a risultati scolastici. In realtà non si potrebbe pensare a due Stati con sistemi più diversi. Se in Finlandia si privilegiano la socializzazione, la creatività, gli studenti non hanno compiti per casa, in Corea del Sud gli scolari sono sottoposti a test molto severi, viene sostenuta una grande competitività e si danno carichi di lavoro molto onerosi. Ma c’è qualcosa che unisce questi due mondi così lontani: il rispetto e l’alta considerazione sociale di cui godono gli insegnanti. Esattamente ciò che manca da noi. E anche un presidente del Consiglio che in un talk-show della domenica sera definisce i docenti "conservatori e corporativi" non contribuisce certo a migliorare le cose.