Lettere. Con uno sguardo positivo sulla realtà per passare dal rancore alla gratitudine
Caro Avvenire,
mi ha colpito in questi giorni l’immagine che viene data di noi italiani dal rapporto Censis. 'Rancorosi', perché siamo identificati così quest’anno? Io non mi ci riconosco, ma tanti amici mi dicono che è un’immagine veritiera. Eppure solo uno sguardo positivo sulla realtà potrà aiutarci. Cordialmente
L’espressione del Rapporto Censis si riferiva a un malessere che sarebbe diffuso nel Paese, nonostante i finalmente concordanti indicatori positivi di una ripresa economica. Secondo il Censis, oltre alla mancata redistribuzione dei vantaggi della nascente ripresa, è anche il blocco della mobilità sociale a creare 'rancore'. L’87% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale. La paura del declassamento è il nuovo fantasma collettivo. Ed è una componente forte della psicologia dei più giovani: l’87% di loro crede che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69% ritiene che al contrario sia molto facile cadere in basso. E l’immigrazione suscita sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti quanto più si scende nella scala sociale. Un’Italia dunque più timorosa che fiduciosa, intenta a guardarsi intorno e a confrontarsi con il prossimo: a verificare se il vicino di casa non ha di più, se il collega non guadagna meglio. Un’Italia preoccupata del suo futuro e spaventata da un’immigrazione che viene raccontata come avversaria del benessere dei già cittadini. In questo temere di avere di meno, o di perdere, nasce il sentimento di un rancore diffuso, su cui soffiano i populismi. Per vederlo basta andare su Facebook, che offre, nel bene e soprattutto nel male, un qualche termometro dell’umore collettivo. Basta leggere i commenti a ogni esortazione a favore dei profughi e dei perseguitati: una sequela di uscite aspre, ed evidente la paura di essere sommersi, se non addirittura islamizzati e dominati. Ma ogni volta che venga sfiorato un argomento economico - le pensioni, i vitalizi, gli stipendi - è uno scatenarsi di reazioni malevole verso coloro che hanno, o si presume abbiano, di più. È uno spettacolo contristante: perché racconta di uomini e donne che non vedono, della loro vita, niente se non ciò che manca. Eppure avranno, almeno nella grande maggioranza, un tetto, di che mangiare, e una famiglia, e degli affetti. In maggioranza, almeno l’essenziale l’avranno, e anche un computer o uno smartphone, e del tempo per andare su Facebook. E dunque questo rancore sa di malattia, oltre che sociale, spirituale. Un pensare solo a ciò che ha il vicino e che si vorrebbe avere, un dimenticare ciò che di buono la vita ha dato a noi. Proprio ieri il Papa, a Santa Marta, ha parlato del risentimento e delle lamentele che accompagnano la vita di molti «come una musica». «Quando la nostra preferenza è per il risentimento - ha detto - noi cuciniamo i nostri sentimenti in quel brodo. Allora l’uomo ha il cuore amaro, come se dicesse: il mio tesoro è l’amarezza». Tante volte, ha aggiunto, «noi siamo attaccati al negativo, alla ferita del peccato dentro di noi, e tante volte c’è la preferenza a rimanere lì, da soli». Quel gusto amaro di rimestare nell’invidia, o di lamentarsi a ogni respiro. Del resto, ha commentato il Papa, «noi nel negativo siamo padroni, perché abbiamo la ferita dentro del negativo, del peccato; invece nel positivo siamo mendicanti e non ci piace mendicare, mendicare la consolazione». Quanto è vero. Nel negativo siamo padroni, è terreno nostro, giochiamo in casa. Siamo bravissimi, a alimentare il rancore e a lamentarci. Ma come è più grande invece, in ogni fatica e privazione, offrire a Cristo quel peso, e domandare la sua consolazione. Certo, in quel gesto siamo mendicanti e non più padroni. Ma come ci cambierebbe lo sguardo, sapere nutrire gratitudine per tutto ciò che siamo e abbiamo. La dimensione della gratitudine sembra oggi la più trascurata: quel fare memoria di quanto di bene si è ricevuto - se non altro nascendo in Italia e non in qualche parte ancora derubata e insanguinata del mondo, se non altro avendo avuto chi ci ha amato, mandato a scuola, educato. Solo uno sguardo positivo sulla realtà potrà aiutarci, scrive la lettrice. Da cristiana intuendo l’angustia cui ci condanniamo coltivando lamenti e rancori, e a quale respiro e speranza, invece, porti la gratitudine per ciò che abbiamo ricevuto.