Lettere. Con una «compagnia» così grande da non aver più paura delle stanze vuote
Caro Avvenire,
qualche giorno fa tra amici abbiamo parlato della solitudine. È sempre negativa? La si sceglie, la si subisce? Qualcuno ha scomodato Nietzsche, altri Sartre, altri ancora Camus. Le idee erano confuse, ognuno diceva la sua. Tranne uno, chi realmente viveva da solo. Che poi, infastidito dalle nostre elucubrazioni filosofiche, non si è più trattenuto: «Ragazzi, la solitudine è cercare le monoporzioni al supermercato, ritornare a casa e trovare le luci spente, prepararsi il caffè con la moka monotazza, lavarsi i denti con lo spazzolino solitario nel bicchierone, aprire il frigo tristemente semivuoto, brindare da solo, facendo “cin” con la bottiglia. E il tutto nel silenzio, la voce della solitudine ». Nessuno ha aggiunto altro...
La solitudine raccontata dall’amico del nostro lettore è tanto vera che mi è parso, leggendo, di sentirla. Come un alito di freddo, addosso. Anche io ho provato, da ragazza, a vivere sola, e mi ricordo come fosse oggi il rumore della serratura e la porta che si spalancava sulla casa muta, identica a quando la avevo lasciata. Accendere la tv, solo per sentire delle voci. Il frigo mezzo vuoto. La spesa, al supermercato, piccola, e gli altri attorno con i carrelli pieni. Salendo le scale, voci e rumori dagli appartamenti degli altri, non dal mio. E quasi una sommessa vergogna nel desiderare di sedere, la sera, a una di quelle tavole dove si parla e si ride. Quanto ho desiderato, in quella breve ma dolorosa solitudine, una casa affollata di vita. Sposandomi la ho avuta: noi due, tre figli, e cani e gatti, quasi che mi sembrasse che non si fosse ancora abbastanza numerosi. Strilli, pianti, corse di bambini, miagolii. Quanto sono stata grata e felice di tanta baraonda, dopo qualche anno di solitudine. E quanto è bello godere, ogni tanto, di una domenica di pace, sapendo che a sera i figli torneranno. Ora che sono cresciuti e vanno all’Universitá, sono sempre fuori. E nella casa silenziosa un pensiero mi attanaglia: fra poco se ne andranno, e come si vivrà allora in queste stanze? Noi due invecchiando, poi. Confesso di avere un poco di paura, all’idea di una casa troppo ordinata che ci si spalanchi davanti, la sera, ciascun oggetto intatto, lì dove lo abbiamo lasciato. E come deve essere poi restare soli, da vecchi. Destino comune a tanti. Prendere un gatto, allora, perché almeno due occhi ti guardino? Forse non è così, magari la nostra casa sarà piena di nipoti. E se invece fosse come quella dell’amico del nostro lettore, lo spazzolino solitario nel bicchiere sul lavabo, al mattino? Pregare: pregare di voler bene, molto, a molti, figli, nipoti, amici, e perfino a sconosciuti. Che ogni casa, per quanto vuota, sia piena di affetti. Ma non basta ancora. Pregare di innamorarsi di Dio, di essere colmati da Lui, negli anni che verranno. Che riempia Lui le nostre stanze. Che le inondi di desiderio e attesa, così che non siamo soli. In una solitudine quasi monastica. Questo spero per la mia vecchiaia e auguro a ciascuno: una compagnia così grande, da non aver più paura delle stanze vuote.