Masha, suo padre e gli altri pacifisti. Con la Russia che non tace
Passano i mesi, la repressione stringe il cappio e viene a cercarti a casa. Ma la fibra di chi in Russia non accetta la brutalità della guerra resiste e ogni giorno, in ogni angolo di quel grande Paese c’è chi non è disposto a tacere. C’è perfino un canale youtube che si chiama proprio così: Nje molchu (Io non taccio) in cui ci sono video con testimonianze di personalità di vari settori contro la guerra e che a oggi ha avuto 232.699.174 visualizzazioni. Anche se in Occidente di questa realtà della Russia si riporta ben poco, essa nella sua semplicità disarmante e disarmata continua a fluire. C’è un’anima russa che non si arrende.
Ne è parte la piccola Masha Moskalev di 13 anni di Efremov, nella regione di Tula, che con un suo disegno – “Avvenire” l’ha via via raccontato e anche ai più piccoli attraverso l’inserto “Popotus” – ha voluto testimoniare un’altra visione del mondo e delle relazioni fra popoli e tra bambini. Nel segno della pace. Il suo gesto è un prezioso granello, un germoglio che testimonia il rifiuto della guerra. Grazie a lei un giorno, bambini ucraini sapranno di poter trovare occhi amichevoli e innocenti anche fra i russi. Un disegno che più che screditare le Forze armate – l’accusa che è stata subito mossa – dissacra e mette a nudo il senso della guerra. I missili sono sotto la bandiera russa e dall’altro lato sotto la bandiera ucraina stanno una donna con una bambina che alza le mani come a proteggerla dai missili. E la scritta «NO alla guerra» sovrasta la scena.
Tutta questa storia è iniziata ad aprile dello scorso anno. Alla scuola di Masha chiesero di fare dei disegni-cartoline per i soldati impegnati nell’«operazione speciale». La maestra portò immediatamente il disegno alla direttrice della scuola, che a sua volta si rivolse alla polizia. E così i servizi segreti – l’arcinoto e arcitemuto Fsb – sono intervenuti, fermando il padre di Masha, Alexeij, perquisendogli l’abitazione e sequestrandogli tutti i risparmi. Poi, gli hanno preannunciato che gli avrebbero tolto la custodia della figlia.
E la macchina della repressione ha continuato a perseguitare la piccola e suo padre. Interrogatori, ripetuti arresti e infine arresti domiciliari. Mentre Masha veniva prelevata all’alba e rinchiusa in un centro di rieducazione dei minori. Al processo a carico di Alexey che si è tenuto il 28 marzo è arrivata la condanna a due anni di colonia penale. Alexey è al momento irreperibile.
Questo caso è uno tra molti, in uno degli ambiti dove l’ordine di far prosperare la propaganda è tassativo e sistematica è la verifica dell’obbedienza da parte di insegnanti e direttori delle scuole. Una vera priorità per il regime. Ma l’obbedienza, per l’appunto, non è così monolitica. In questi mesi di guerra e di militarizzazione delle scuole, con l’introduzione dell’attività di propaganda a sostegno del conflitto, con parate militari a forma di Z, con canzoni e poesie che inneggiano agli eroi, in Russia ci sono state e continuano a esserci anche altre voci. Molti ricorderanno come, all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, siano circolati video di madri che strappano le Z dai vetri di asili e scuole. C’è la petizione lanciata su Change.org dall’associazione Mjahkaja sila (quella anche in Italia usiamo chiamare Soft power) dei «Genitori contrari alla militarizzazione negli asili, nelle scuole e nelle università!». E poi ci sono i diversi account social che condividono suggerimenti sulle strategie per sottrarre i propri figli alla militarizzazione scolastica.
Le sospensioni ed espulsioni dalle Università e scuole degli studenti che hanno manifestato o si sono espressi contro la guerra si sono susseguite e ancora non si interrompono. Quindi anche nelle scuole non vince sempre e solo propaganda se ci sono genitori che hanno il coraggio di chiedere ai direttori di «non militarizzare» l’educazione dei bambini e dei ragazzi.
Inevitabile chiedersi se era facile esprimersi contro la propaganda durante il nazifascismo in Italia e in Germania o nell’Argentina dei generali o nel Cile ai tempi di Pinochet? Saper dare voce, accogliendone la testimonianza, a questa realtà fatta di russi e di russe che si assumono la colpa per gli orrori perpetrati in nome della grande Patria, è riconoscere a chi continua opporsi la dignità dei propri gesti.
Ed è un investimento per il futuro.