Avviciniamo un povero, con lui c'è il Festeggiato
«Si può sbagliare festa», ha detto il Papa. Il rischio c'è, lo sappiamo, ne siamo coscienti. Il rischio di dimenticare il "Festeggiato" e di essere distratti dalle mille cose, pur belle, che accompagnano il Natale. Se sbagli festa puoi ritrovarti in un luogo dove non sei atteso, tra gente sconosciuta, un estraneo tra estranei. Il Papa ci invita a guardare oltre, ad allargare gli orizzonti, sempre troppo angusti. A prendere atto delle nostre potenzialità, delle nostre forze, delle nostre capacità. Ci invita a osare. Francesco ci ha chiesto, per questo Natale, di aiutare «almeno un povero che assomiglia a Dio». Uno solo? Non è troppo poco? Padre Davide Maria Turoldo in una lettera al compianto vescovo di Molfetta, don Tonino Bello, scriveva: «Di gente che ama in astratto è pieno il mondo, ed è piena anche la Chiesa. Ma di gente cha ama in concreto, individualmente e nel modo giusto, come tu vuoi che si avveri, perché la stessa verità cristiana sia vera, e cioè nel modo pieno della condivisione, di gente simile, ripeto, ce n'è poca, o, comunque, troppo poca, anche nella Chiesa».
Ecco, quello del Papa non è un invito al risparmio per mettere a tacere la coscienza, al contrario: è il richiamo a non amare in astratto, a non demandare agli altri quello che possiamo fare noi, a non rimanere affacciati alla finestra a guardare quanto accade, ma a scendere, sporcarci le mani, prendere posizione, essere protagonisti. Ad avere il coraggio di credere che il Signore ha bisogno anche dei nostri pochi pani. Francesco ci chiede di prendere contatto con "questo" povero, "questa" famiglia, "questo" senzatetto, fissarli negli occhi, chiamarli per nome, conoscerne la storia. Da lontano sembriamo tutti uguali, ma prova ad avvicinarti a chi ti tende la mano, fermati a parlare un po' con lui e vedi che ti accade. Padre Turoldo continua: «Caro fratello vescovo, vorrei quasi dirti paradossalmente: non inoltrarti troppo su queste strade dei poveri. Vedrai quanto avrai da soffrire». Turoldo dei poveri se ne intendeva, sapeva bene quanto siano capaci di coinvolgere e, in un certo senso, fare prigioniero chi li avvicina. Quanto sia concreto il rischio di rimanere contagiati dalla "febbre" del farsi prossimo. Secondo Chiara Lubich «meglio il poco fatto da molti che il molto fatto da pochi», e per il beato Pino Puglisi «se ognuno fa qualcosa si può fare molto».
Quanti siamo nel mondo le donne e gli uomini che sul bambino di Betlemme ci stiamo giocando la vita? Tanti, siamo tanti. Proviamo a immaginare che cosa può accadere se ognuno, secondo il suo carisma, la sua posizione economica, sociale, politica, mettesse in pratica le parole di papa Francesco. E si facesse carico di un povero.
Mentre scrivo mi giunge dalla Lombardia un messaggio telefonico. È Mimma, la mamma della piccola Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni violentata e uccisa dal suo aguzzino quattro anni fa. Ha altri due figli e per assicurare loro un futuro è emigrata verso il Nord. Cerca un lavoro ma non riesce a trovarlo ancora. Insiste. Resiste. Indietro non vuol tornare, non deve tornare, non torna. Ha bisogno di aiuto. Una donna povera, con un volto, un nome, una tragedia alle spalle. Il Papa non ci ha chiesto di essere eroi, di rinunciare a tutto ciò che abbiamo, di non addobbare di luci colorate l'albero, di non godere del calore della famiglia. No, ci ha chiesto di non dimenticarci del "Festeggiato", di non lasciarci distrarre dal consumismo eccessivo, di non smarrire l'indirizzo esatto del luogo dove si tiene la festa. Di non badare troppo all'apparenza trascurando la sostanza.
Natale è ormai alle porte, in tanti affolleremo le chiese in questo giorno benedetto. Doppio appuntamento, dunque. Davanti all'Altare, dove Gesù nascosto nella Parola e nel Pane ci perdona, ci parla, ci consola. E dal povero, dal quale abbiamo il dovere di correre per consolare lui e Gesù con la stessa consolazione con cui siamo stati consolati. Solo allora possiamo essere certi di non aver sbagliato il luogo della festa.