Opinioni

Esercizi spirituali del Papa. Con gli occhi di Dio per cambiare la città

Mimmo Muolo mercoledì 13 marzo 2019

Per una bella coincidenza gli esercizi spirituali del Papa e della Curia romana si intrecciano quest’anno con il sesto anniversario dell’elezione di Francesco, che ricorre oggi. E chissà, nel cuore e nella mente del Pontefice, quali sentimenti si alternano in queste ore – tra una meditazione e l’altra dell’abate benedettino olivetano Bernardo Francesco Maria Gianni – nel ricordo di ciò che avvenne, quel 13 marzo 2013, nella Cappella Sistina. L’intreccio del resto è anche nella scelta del tema portante degli esercizi da parte del predicatore. Quello sguardo sulla città che richiama alla mente, per immediata associazione di idee, tanta parte del magistero di papa Bergoglio, dalla sottolineatura dell’importanza delle periferie (geografiche ed esistenziali) alla stessa dinamica di una Chiesa in uscita, evidentemente dal recinto del sacro verso strade e piazze e case degli uomini, cioè appunto verso quel paesaggio urbano che fa da scenario, sempre più spesso e (mal)volentieri, al vivere contemporaneo. Va dato atto perciò a padre Gianni di aver centrato con la sua scelta uno degli argomenti più suscettibili di fecondo approfondimento che si potessero immaginare.

Approfondimento escatologico innanzitutto, poiché come insegna la Scrittura, la storia dell’uomo è iniziata in un giardino, ma si concluderà in una città, la Gerusalemme celeste, già evocata diverse volte nelle meditazioni di questi esercizi. E poi approfondimento spirituale, quando quello sguardo si incrocia con la presenza di Dio che – ricorda padre Gianni – abita ancora, nonostante le apparenze contrarie, nelle nostre città e si tratta solo di scoprirne le tracce. Infine, seguendo il filo delle meditazioni, prendiamo coscienza anche dell’approfondimento sociale e politico che la scelta di dom Gianni comporta.

Non solo perché il 'testimonial' di questa parte del discorso è il 'sindaco santo' Giorgio La Pira, ma anche e soprattutto perché i primi due approfondimenti risulterebbero in qualche modo incompleti senza questo terzo punto di vista. Nelle parole del benedettino si avverte nettissima l’eco dei tanti problemi che la cronaca quotidiana impietosamente ci consegna. Ma l’analisi va oltre la contingenza dei rifiuti e del trasporto pubblico, dello smog, del traffico e della delinquenza più o meno organizzata, per puntare all’essenziale. La radice di tutti questi mali, dice in sostanza padre Bernardo, sta nelle relazioni malate, nell’indifferenza o «schermatura di sé per proteggersi dagli altri e dalle responsabilità» che ci porta a essere isole nella corrente impazzita della fretta di un vivere senza una meta e senza un perché, come tanti personaggi da romanzo. Viene da pensare a un inquietante film ambientato a Los Angeles – la città delle città, si potrebbe dire – in cui a un certo punto il protagonista racconta di aver letto sul giornale di un uomo trovato morto in metropolitana dopo non si sa quanti viaggi da capolinea a capolinea, senza che nessuno se ne accorgesse prima. Avrà lui stesso la medesima sorte. Che è poi la sorte cui talvolta condanniamo i tanti 'invisibili' delle nostre metropoli. Eppure, come recita il verso di una famosa canzone che guarda caso parla di uomini soli, il Dio delle città è lo stesso Dio dell’immensità, capace di creare le vertiginose profondità dell’universo e di nascere nella periferia di una stalla, dato che negli alberghi della 'città' non c’era posto per Lui.

E’ lo stesso Dio della bellezza cantato nelle liriche di Mario Luzi, che il predicatore ha preso come suo personale 'Virgilio' in questo viaggio. Il «Dio delle città e dell’immensità» che si è rivelato nella culla di Betlemme, sulla Croce del Golgota e soprattutto nella tomba vuota della Gerusalemme terrestre. Ed è proprio questo Dio che – sottolineano le meditazioni degli esercizi – ci richiama a un’altra realtà, a un’altra spiritualità, a un altro destino eterno. Non c’è bisogno di sognare città ideali o utopie di nessun tipo, ricorda il benedettino. In fondo basta lasciarsi avvolgere dal suo sguardo di amore e cambiare inevitabilmente anche il nostro. Come del resto ha fatto nei suoi primi sei anni di pontificato papa Francesco, aiutandoci a vedere Cristo in quella parte di umanità sofferente e 'scartata' proprio perché consegnata al terribile limbo dell’indifferenza, che deturpa non solo le città, ma prima di tutto i cuori.