Opinioni

Di nuovo in cammino. Macerata-Loreto, con giusto passo in questi tempi

Giorgio Paolucci sabato 10 giugno 2017

L'edizione 2016 della marcia Macerata-Loreto

Viviamo tempi duri. Tempi in cui i sentimenti che sembrano prevalere sono la paura, lo scetticismo, l’indifferenza. Al punto che quando accade qualcosa di diverso, lo si considera un fatto estemporaneo, passeggero, in fondo ininfluente, incapace di penetrare il malessere che grava sulle nostre esistenze. Provate a immaginare un serpentone lungo diversi chilometri, fatto da centomila persone che per una notte intera pregano e cantano, camminando sotto il cielo stellato verso un santuario. Un popolo in cammino, che tende lo sguardo verso una meta lontana eppure certa, che cerca le ragioni di una speranza che non sia effimera. Un popolo che – per usare termini cari a papa Francesco – non si rassegna alla cultura dell’indifferenza, non si lascia rubare la speranza e testimonia con gesti semplici – antichi e sempre nuovi – uno sguardo positivo sulla vita.

Benvenuti al pellegrinaggio Macerata-Loreto. Quest’anno, nella notte tra sabato e domenica, celebra trentanove anni di vita. Promosso da Comunione e liberazione in unità con le diocesi delle Marche e con tante realtà associative, viene considerato il pellegrinaggio a piedi più partecipato tra quelli – numerosi – che si svolgono in Italia. Lo ha inventato nel 1978 un sacerdote, Giancarlo Vecerrica, all’epoca insegnante di religione al liceo classico Leopardi di Macerata e oggi vescovo emerito di Fabriano-Matelica.

In realtà, più che un’invenzione fu il rilancio di un’antica tradizione che si andava smarrendo, come tante cose belle di questa Italia ricca di storia e sempre più dimentica dei suoi tesori. «Andiamo a Loreto a ringraziare la Madonna per l’anno scolastico che si conclude», disse ai suoi studenti. Tornava in vita una consuetudine praticata da una moltitudine di persone, che dalle loro case nelle pianure e sui colli marchigiani andavano a piedi verso il santuario che custodisce la Santa Casa per ringraziare e per chiedere: prima o dopo la nascita di un figlio, alla vigilia di un matrimonio, in occasione della mietitura o della vendemmia, affidando a Dio e alla Madonna la propria vita e quella dei propri cari. Cose d’altri tempi, diranno i sapienti di questo mondo.

Eppure anche in questi nostri tempi, intrisi di secolarizzazione e di scetticismo, c’è chi lo fa. La prima volta, il 17 giugno del 1978, erano in trecento, l’anno scorso più di centomila, provenienti da tutta Italia, dalla Svizzera e dalla Germania. Cosa tiene insieme persone di ogni età, provenienza e condizione sociale, in un gesto così elementare? Cosa li muove, cosa cercano? Il bisogno di un abbraccio senza confini, il desiderio di essere guardati e accolti con tutti i loro limiti, le fatiche, le paure, le gioie e i dolori, la carne e il sangue, che impastano l’esistenza quotidiana. Bisognosi di tutto, sperimentano cosa vuol dire essere davvero poveri.

Come ha detto papa Francesco, «questa povertà è necessaria perché descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui». Nelle intenzioni di preghiera del pellegrinaggio, oltre al ringraziamento per l’anno scolastico che si conclude, ci sono i drammi del tempo che viviamo: le ferite ancora aperte dei terremoti che l’anno scorso hanno colpito le genti di Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio, quelle provocate dal terrorismo, la sorte dei cristiani perseguitati, l’odissea dei migranti.

Si pregherà per testimoniare vicinanza ai protagonisti di questi drammi, per condividere il bisogno dell’uomo di fronte all’incertezza e alla paura. Il guaio più grosso dell’uomo di oggi è vivere senza certezze. E scoprirsi indifeso di fronte al male che sembra divorare il mondo. Ci vuole un abbraccio d’amore per curare le ferite dei cuori e della società. Un amore più grande di quello di cui l’uomo è capace. Un amore che non s’impone, che ha bisogno della nostra libertà. 'Mi ami tu?' è il titolo che gli organizzatori del pellegrinaggio hanno scelto per l’edizione di quest’anno. Ripropone la domanda che Gesù rivolge a Pietro, che l’aveva rinnegato tre volte, di fronte alla quale l’apostolo ridice il suo 'sì', pieno di vergogna per il tradimento e insieme di commossa ammirazione per quell’uomo che lo guardava come nessuno l’aveva guardato prima. Di un tale sguardo ha bisogno ogni uomo, oggi come allora. Forse è proprio per questo che, qualche anno fa, una ragazza che aveva partecipato al cammino notturno da Macerata a Loreto disse: «Sono atea, ma sono qui perché voglio vedere Dio nel volto di coloro che credono».