Rapporto Istat. Con giovani inascoltati e "marginali" l'Italia si condanna al declino
I giovani di oggi sono la prima generazione destinata a stare peggio delle generazioni che l’hanno preceduta. È una delle affermazioni che negli ambienti che studiano la società si sente ripetere da alcuni anni. Si potrebbe pensare che questa sia una previsione da Cassandra, esagerata da un allarmismo eccessivo, eppure i dati che si susseguono di anno in anno sembrano confermare quella previsione. Il Rapporto Istat 2023 sulla «situazione del Paese», pubblicato ieri, presenta alcune cifre su cui non si può non riflettere. « Nel 2022 – si legge nel Rapporto – quasi un giovane su due (47,7 per cento dei 10 milioni e 273 mila 18-34enni) mostra almeno un segnale di deprivazione », di mancanza, di disagio in uno o più degli aspetti che fanno il benessere e la qualità di vita di una persona: lavoro, istruzione, salute... I dati sono resi ancor più pesanti dal confronto con gli altri Paesi europei, rispetto ai quali l’Italia ha non invidiabili differenze.
Il giovane che legge queste informazioni facilmente non se ne stupisce: lui appartiene a coloro che i disagi rappresentati da quelle cifre li sperimenta sulla propria pelle. In lui non sono fenomeni sociali, ma sono stati d’animo e prendono nomi diversi: sfiducia, rabbia, demotivazione, paura del futuro... L’ascolto dei giovani dà la percezione viva di come ciò che si legge nei rapporti diventi comportamento e stile di vita: c’è chi il disagio che prova cerca di dimenticarlo nella superficialità e nel disimpegno; chi si chiude in casa davanti a un computer e rimuove in questo mondo virtuale la sua condizione reale; c’è chi pone distanze crescenti rispetto a un mondo adulto che ritiene inaffidabile, chiuso nei propri interessi.
È un quadro sconfortante, che parla di un distacco tra le generazioni che compromette non solo il benessere dei più giovani ma la qualità e il futuro dell’intero corpo sociale: una società che marginalizza i giovani si condanna a invecchiare, si priva del loro contributo innovativo, si immobilizza nel passato. Non basta guardare a temi pure importanti come quello dell’edilizia scolastica – è uno degli aspetti cui si dedica il Rapporto Istat – se non si pone attenzione alla scuola nel suo insieme: la sua qualità educativa, culturale, progettuale. Certo il decoro e la sicurezza degli edifici scolastici sono necessari, ma occorre non dimenticare che la scuola deve dare figure di riferimento, qualità culturale adatta ad affrontare i temi di oggi, capacità di affrontare il futuro con fiducia e con strumenti formativi di qualità.
Il Rapporto Istat è una provocazione per il mondo economico, per la politica, per quanti hanno responsabilità amministrative o imprenditoriali.
Provocano anche la Chiesa. Certo tra i dati non compaiono voci riferibili alla vita ecclesiale, eppure la comunità cristiana non può non sentirsi provocata dal disagio dei giovani, di tutti i giovani e non solo di quelli che ancora la frequentano e che spesso se ne vanno non perché non condividano la sua visione della vita ma più spesso perché non si sentono a casa in contesti dove si fanno delle cose per loro senza consentire loro di essere protagonisti, di portare idee, di essere sé stessi. I dati sono un campanello di allarme per comunità cristiane che hanno a cuore i giovani ma non riescono effettivamente a mettersi in ascolto di ciò che pensano e vivono, a consentire loro di stare nella vita ecclesiale con la propria sensibilità di giovani e con il loro bisogno di essere riconosciuti e valorizzati. La comunità cristiana può fare scelte che migliorino il suo rapporto con i giovani, ma non basta: deve mettersi dalla loro parte, al loro fianco. Una giovane alla quale è stato chiesto che cosa può fare la Chiesa per i giovani, ha risposto: «Condividere le mie battaglie!». Per ridare fiducia ai giovani oggi alla Chiesa è chiesto di mettersi accanto a loro, non da maestra ma da madre che si affianca per ottenere, per loro e con loro, percorsi di inserimento adulto nella società: che significa attenzione reale alla loro condizione, accesso a un lavoro dignitoso, pagato in maniera giusta, nel quale ci sia posto anche per i sogni che ciascuno ha sul proprio futuro, e soprattutto risposte certe a una domanda di valorizzazione che sarà a beneficio di tutti.