L'eredità spirituale di don Benzi. Con (e per) la famiglia, gli oppressi e i giovani
Don Oreste Benzi
Caro direttore,
dieci anni fa, la notte del 2 novembre 2007, don Oreste Benzi saliva in cielo. Il prete delle donne di strada - le nostre «sorelline», come le chiamava sempre il primo a lottare contro la cultura della prostituzione e la tratta delle schiave in Italia, capace di affrontare un tema scabroso senza moralismi, svelando piuttosto l’orrore che si cela dietro i sorrisi finti perché, spiegava, «nessuna donna nasce prostituta, ma c’è sempre qualcuno che la costringe».
Tuttavia si inganna chi pensa che don Benzi fosse solo un prete 'sociale'. Il giorno della sua morte, a Rimini, sulla parete della Chiesa della Resurrezione, di cui era parroco, era scritto «Siate Santi». Non un invito, ma un imperativo. Il segreto di don Oreste era questo: la sua relazione profonda con Gesù. Era un mistico, in costante dialogo con Dio. Pregava continuamente, in auto, in aereo, sulla strada. Un contemplativo di Dio nel mondo, nelle periferie esistenziali di cui oggi parla tanto papa Francesco, che aveva fatto dell’unione con il Signore una dimensione di vita. Le giornate iniziate prima dell’alba e finite a notte fonda, magari con un’unità di strada per incontrare le sue «sorelline». Ecco il segreto di don Oreste: nella preghiera traeva l’energia per condividere la vita direttamente con gli esclusi, i fuori casta; in essa attingeva la forza della verità per combattere le battaglie per rimuovere le cause delle ingiustizie.
Dalla prostituzione alla tossicodipendenza, dai barboni ai minori fuori famiglia, dagli zingari all’obiezione di coscienza, dall’aborto al carcere. Sono state innumerevoli le lotte di don Benzi. A partire, negli anni 60 del secolo scorso, da quelle in favore dei diversamente abili, allora solo «gli handicappati»da tenere a margine. Don Benzi è stato un sacerdote che ha consumato la sua vita per le anime, che si è strapazzato fino al «tutto è compiuto» per l’annuncio del Vangelo ai più poveri, agli ultimi. Un sorriso per tutti, la serenità anche tra mille problemi, la sua tonaca lisa da buon curato di campagna e il Rosario sempre in tasca.
Qual è oggi l’eredità spirituale di don Oreste Benzi a 10 anni dalla sua scomparsa?
Innanzitutto, il ruolo della famiglia: «Diamo una famiglia a chi non ce l’ha». Don Oreste aveva capito che tutti, a maggior ragione gli esclusi, desiderano una famiglia in cui essere accolti e amati. Da qui l’idea della Casa Famiglia. Una casa in cui un papà e una mamma accolgono tutti i poveri, senza distinzione di età o situazioni di provenienza. La profonda intuizione fu semplice: la famiglia è il sistema relazionale per eccellenza, all’interno della quale ogni ferita può esser guarita. Come un figlio viene educato nella relazione fra il papà e la mamma, anche le persone accolte vengono rigenerate in questo amore. La virtù sociale della famiglia non è data dagli individui soltanto, ma dalla qualità della relazione. Qualità data dalla complementarietà tra le diverse persone accolte: ciò che può dare una persona disabile a un ragazzo uscito dalla tossicodipendenza non lo può dare nessuno. Oggi la crisi della famiglia sta comportando conseguenze nefaste per le persone e la società intera. È dunque necessario riconoscere e promuovere l’importanza della famiglia. Secondo, la liberazione degli oppressi. A partire dalle ragazzine schiave del sesso sfruttate da trafficanti e clienti. La lotta contro l’aborto, il lavoro per la pace, l’accoglienza dei carcerati, il contrasto delle nuove forme di dipendenza, a partire dall’azzardo, piaga che sfaglia le famiglie.
«La devozione senza la rivoluzione non basta. - ripeteva don Benzi - È arrivata l’ora dell’azione tramite strategie comuni da attuare. Ma dobbiamo vedere i fatti. Altrimenti la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo parole di speranza, ma non c’è l’azione».
Incontrare i giovani e fare loro una proposta simpatica con Cristo, è la terza eredità lasciata da don Oreste: «Il vento è favorevole, perché il cuore dei giovani ve lo dico, e non badate alle 'cassandre' oggi batte per Cristo. Però ci vuole chi senta quel battito, chi li organizzi e li porti avanti in una maniera meravigliosa. I nostri ragazzi, i nostri piccoli angeli crocifissi, i nostri barboni che andiamo a prendere tutte le sere alla stazione, in realtà sono i soggetti attivi e creativi di umanità. Il bene che fanno loro ai giovani è incalcolabile».
Adesso occorre raccogliere questa eredità, la stessa che caratterizza i Santi della Chiesa, e attuarla. Questa è la grande sfida che vogliamo affrontare insieme a tutte le persone di buona volontà.
*Responsabile generale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII