Il caso. Nuova Pompei, i 150 anni di una storia impossibile
Non era bello a vedersi, e Bartolo Longo non tenne per sé la delusione. («Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia! Non potei io trattenermi dall’esclamare con un’aria tra lo spavento e lo sconforto»). Era pure ridotto male. Sul capo della Vergine mancava «un palmo di tela, e tutto il manto era screpolato, roso dal tempo e bucherellato dalla tignola». Non si salvava neppure il concetto storico, con il madornale errore della Vergine che porge il rosario a santa Rosa invece che a san Domenico. «In cuor mio sentivo che i poveri pompeiani assai malagevolmente si sarebbero disposti a divozione mirando quella brutta immagine», scrisse poi il fondatore nella sua Storia del Santuario. I timori furono poi sopraffatti e la storia fece tutt’altro corso.
È andata così, si può dire oggi, non solo per il quadro ma per tutta la “Nuova Pompei”, sorta e quasi inventata su un territorio molto più malmesso e lacerato del quadro della Vergine. Si chiamava Valle quella porzione di terra, un nome posticcio, al quale veniva naturale aggiungere un solo aggettivo – desolata – per sommare i mali che l’affliggevano: la miseria prima di tutte e la violenza come deriva delle tante altre forme di privazioni. Bartolo Longo, giovane avvocato pugliese, vi era andato in missione. C’entrava poco la fede perché il suo compito era quello di amministrare, per quanto possibile, le proprietà della contessa De Fusco, sua corregionale, poi al suo fianco come moglie e cofondatrice.
Il quadro è stato l’incipit della straordinaria vicenda della “Nuova Pompei”, sorta intorno al Santuario, costruita a partire dalle Opere di carità, in primis quella degli orfani e dei figli dei carcerati, cresciuta come importante centro urbano, con accanto l’area degli scavi, il più esteso e conosciuto parco archeologico del mondo.
Accadeva 150 anni fa, 13 novembre 1875. È la Lettera del Papa, indirizzata al prelato, l’arcivescovo Tommaso Caputo, a far memoria ora non solo di quel giorno, l’arrivo – rocambolesco anch’esso, su un carro di letame – del quadro a Pompei, ma di ciò che rappresenta la città mariana, con il Santuario primaria e inesauribile fonte di propagazione del Rosario che il Papa definisce come «la preghiera di aiuto alla costruzione della pace»: «È provvidenziale – scrive papa Francesco – che il Giubileo del quadro della Madonna di Pompei coincida con l’imminente Anno Giubilare incentrato su Gesù nostra speranza, e con il XVII centenario del Concilio di Nicea». È proprio un Giubileo nel Giubileo, anche secondo il titolo della lettera pastorale di monsignor Caputo, quello che si appresta a vivere la “Nuova Pompei”. Di fatto l’arrivo del quadro segna anche il suo anno di nascita. «Quando quel dipinto vi giunse, solo da pochi anni l’avvocato Bartolo Longo, fondatore del Santuario, aveva ritrovato la fede, smarrita durante gli anni della dei suoi studi universitari». Il Papa entra così nel vivo della storia di Pompei, richiamando il protagonismo di un laico convertito che parla soprattutto all’oggi. Da un quadro malmesso a una minuscola cappella, e poi al Santuario mariano; dal Santuario al complesso delle Opere di carità e infine al tessuto urbano disegnato, si può dire, dalla punta del campanile, il compasso che ha modellato ogni tratto della città mariana. Un lungo percorso che ha riguardato Pompei, ma che più volte Francesco – e con lui i gli altri due Papi, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che hanno visitato la città mariana – ha indicato come paradigma di processi che portano lontano. Fino alla pace che Bartolo Longo riuscì a far fiorire in quella “periferia esistenziale” ante-litteram, di altra epoca ma, a ben vedere, di non dissimile natura dalle tante sparse ancora oggi, nel terzo millennio, in ogni parte del mondo. Per il fondatore è stata per prima una questione di speranza, troppo esigente per non prendere i caratteri di una fede viva, dilagata poi come forza insopprimibile, nelle Opere di carità.
Il modo in cui la speranza si è fatta largo in quel microcosmo di terra e di umanità richiama perciò, più forte che mai – e non solo per Pompei –, lo straordinario valore di una testimonianza.
La “Nuova Pompei” è oggi inserita in un territorio urbano tra i più densamente abitati d’Europa. Il Santuario è tra i più famosi al mondo e ha la particolarità di non trovarsi, come la maggioranza di essi, sul monte, ma nel cuore di una città: al piano terra, potremmo dire, tra strade e piazze dove si svolge la vita quotidiana della popolazione. Il suo ruolo sociale, concreto e visibile, è emerso in maniera singolare anche attraverso la lunga frequentazione di santi dell’Ottocento, quasi tutti – come Ludovico da Casoria, Caterina Volpicelli, Giuseppe Moscati – compagni di lungo corso di Bartolo Longo. E tutti con il dono, distintivo per la santità di quell’epoca, della carità a portata di mano. Un’attitudine non sempre vista di buon occhio, e anzi posta sotto accusa come forma di semplice supplenza alle lacune dello Stato. Anche queste, storie che ritornano, a conferma di un’attualità che non svanisce. La realtà è che il presente di Pompei ha appena compiuto 150 anni.
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