Opinioni

La Ferrari e la battaglia giudiziaria con Mosley . Il paradosso della Formula 1, dove il risparmio è solo un gioco di potere

Alberto Caprotti giovedì 21 maggio 2009
Presa a schiaffi in pista, e adesso “asfaltata” anche in tribunale. L’anno orribile della Ferrari si sta snodando tra esibizioni ad andature più consone al ragionier Fantozzi in coda verso il mare che a un Mondiale di Formula 1 e decisioni avverse che le piovono addosso come guano in un parcheggio. L’ultima ieri, con il Tribunale delle Grandi Istanze di Parigi che ha respinto il ricorso d’urgenza inoltrato da Maranello contro il nuovo regolamento varato dalla Federazione internazionale (Fia) in vista del Mondiale 2010. Riassunta all’osso, la questione è questa: c’è un signore che si chiama Max Mosley che di professione fa il "duce" al vertice della Fia (e nei ritagli di tempo i festini sadomaso), che per la prossima stagione ha deciso l’entrata in vigore di un tetto agli investimenti. I team che spenderanno al massimo 45 milioni di euro avranno vantaggi regolamentari enormi. Una norma fatta apposta per favorire le piccole scuderie. Ma un dramma per la Ferrari che di milioni ne investe dieci volte tanto, che da contratto come costruttore che caccia i soldi per far funzionare il baraccone avrebbe un diritto di veto sulle novità regolamentari e che soprattutto non trova concepibile che si possano stravolgere le norme di punto in bianco in uno sport dove la programmazione a lunga scadenza è tutto. Dunque, il Cavallino che di rampante oggi ha solo la rabbia, ha già annunciato che non si iscriverà al Mondiale 2010 se le norme non verranno modificate. Al pari di Renault, Toyota e Red Bull, schierate a fianco di Montezemolo in questo braccio di ferro. Dato per scontato che un Mondiale alternativo a quello esistente non si organizza nel giro di pochi mesi, è vero che la Ferrari rischia di perdere la sua vetrina motoristica più celebre e apprezzata, ma è anche innegabile che il signor Mosley senza i marchi più prestigiosi al massimo l’anno prossimo potrà mettere in piedi un Mondiale per automobiline di latta. Per questo è quasi fatale che alla fine (ormai vicina) si troverà il solito compromesso che scontenti tutti in ugual misura. E dunque sia perfettamente accettabile. Del resto di definitivo in Formula 1 non c’è nulla, figuriamoci una sentenza. Il mondo dei motori poi ci ha abituato a scelte geniali. Come quando proprio la Ferrari appoggiò la rielezione del signor Mosley alla Fia nonostante il suo coinvolgimento nello scandalo a luci rosse. Non lo avesse fatto, oggi forse non avrebbe di questi problemi: ma allora il favore di Mosley serviva a Maranello (c’era il caso dello spionaggio della McLaren) e le questioni morali non prevalsero su quelle del portafoglio. Ora non è semplice avere un’idea chiara su chi abbia ragione. Da una parte ci si chiede: che male c’è a pretendere un contenimento dei costi della Formula 1, specie in epoca di vacche magre e di marchi sull’orlo del fallimento? Investimenti uguali per tutti dovrebbero stimolare la creatività dei progettisti e l’abilità dei piloti. Restituendo (come già accade quest’anno) un po’ di novità e di interesse ai Gran Premi invece soporiferi delle passate stagioni. Il problema è che Mosley pretende risparmi altrui solo per diventare sempre più potente e in grado di ricattare i grandi marchi. E che sport e massificazione sono da sempre concetti antitetici. Oltre al fatto che l’idea “comunista” applicata allo sport dei miliardari fa molto ridere. È come se quest’anno all’improvviso si fosse deciso che Inter-Reggina cominciava da 0-2 perchè Moratti è più ricco e dunque occorreva salvaguardare il diritto alla vittoria del club più debole. Se qualcuno l’avesse proposto, avrebbero chiamato gli infermieri. In Formula 1 no, si va in tribunale.