Come sulla via di Emmaus. I primi 5 anni della Chiesa e del mondo con Francesco
I primi 5 anni della Chiesa e del mondo con Francesco Cinque anni di papa Francesco. Cinque anni di gesti sorprendenti ( in primis l’Anno Santo straordinario della misericordia) e di scelte pastorali innovative (a partire dall’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali del mondo). Cinque anni di Chiesa in uscita a 360 gradi e di spinta alle riforme per una autentica vita di fede, prima ancora che per cambiare le strutture esterne.
Cinque anni scanditi spesso da momenti veramente storici (valga per tutti l’incontro – il primo in assoluto, appunto – tra un romano Pontefice e il Patriarca ortodosso di Mosca). In definitiva, cinque anni che già in termini di intensità ed efficacia del ministero petrino sono forieri di un’eredità che travalica la loro semplice durata temporale. Resta aperta, però, in questi giorni di analisi del Pontificato, una domanda di fondo: è possibile trovare nella ricca complessità del magistero verbale e fattuale di Francesco – complessità che richiama alla mente l’immagine del poliedro a lui cara – una cifra interpretativa unificante? Qualche tempo fa il cardinale Gualtiero Bassetti ha usato un’immagine che, nella sua apparente semplicità, fornisce invece un’indicazione fondamentale. «Un Papa con il Vangelo in mano».
Aiuta, infatti, a riandare proprio a una pagina evangelica tra le più note, quella dei discepoli di Emmaus, nella quale è possibile leggere in filigrana un’impressionante similitudine con gli elementi fondamentali di questi cinque anni. C’è innanzitutto lo scenario di fondo. Una strada che conduce dal centro – Gerusalemme – verso un villaggio di periferia, Emmaus. È esattamente la stessa direzione che papa Francesco ha voluto imprimere al suo pontificato. Non solo Chiesa in uscita, ma Chiesa in cammino verso le tante Lampedusa, Lesbo, Tirana, Bangui della storia. Realtà marginali, secondo l’ottica corrente, e perciò trascurate dai cosiddetti 'grandi' della terra, che Francesco ha riportato sotto i riflettori del mondo, come è avvenuto ad esempio nella capitale del Centrafrica, dove il Vescovo di Roma ha aperto – fatto senza precedenti – la prima Porta Santa del recente Giubileo.
Colpisce inoltre un secondo parallelismo. Il viandante che nel racconto evangelico si avvicina ai due discepoli è, inizialmente ai loro occhi, uno sconosciuto. Così era, per la gran parte del popolo di Dio e del resto del mondo, anche Jorge Mario Bergoglio al momento dell’elezione. Ma questo 'viandante sconosciuto' si è posto fin dal primo momento (ricordate il «Buonasera!» di esordio?) in profonda empatia con il gregge che gli è stato affidato («pastore con l’odore delle pecore»), dimostrando di saper camminare al fianco dei discepoli e di comprenderne l’umano travaglio, non certo per blandirlo, ma per versare sulle sue ferite l’olio della misericordia, che non a caso è l’architrave del pontificato.
Papa Bergoglio, proprio come Gesù nel racconto evangelico, si è messo al fianco di un’umanità scoraggiata e depressa da guerre, terrorismo, squilibri economici, disastroso uso della «casa comune», la Terra. Un’umanità che sembra aver fatto proprio il pessimismo cosmico dei due di Emmaus («Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele»). E il Papa lo ha fatto non certo con la sicumera del saccente, ma con la pazienza, l’amore e la tenacia del compagno di strada. Così ha ricominciato a «spiegare le Scritture».
Una nuova e più profonda comprensione del Vangelo, che trova nella Evangelii gaudium la sua magna charta, e che si concretizza nella realtà di una Chiesa più sinodale al suo interno e «ospedale da campo» per tutti; nella denuncia della «cultura dello scarto», frutto di una economia senza regole; nella quotidiana fatica di abbattere muri e costruire ponti (verso i 'lontani' – Cina compresa –; verso gli altri cristiani, verso i credenti delle altre religioni, promuovendo una cultura della pace, al posto della «terza guerra mondiale a pezzi»).
Una Chiesa che s’impegna ad accogliere nel suo seno di madre le famiglie in crisi o chi soffre la propria diversità esistenziale eppure è in ricerca di Dio (davanti a questo, come chiudere la porta? E «chi sono io per giudicare?»); che sa difendere la vita a tutti i livelli: dalla dignità dei lavoratori a chi rischia di non nascere per aborto o di morire da migrante nei cosiddetti viaggi della speranza.
Una Chiesa che sa ascoltare i giovani (si pensi al prossimo Sinodo); che contrasta e previene, con «tolleranza zero», dolorosi fenomeni come la pedofilia tra i sacerdoti ed educa alla salvaguardia del creato, da attuare con l’atteggiamento giuseppino del custode, come il Papa ha ricordato fin dall’omelia di inizio pontificato. Così, giorno dopo giorno in questi cinque anni di cammino verso il villaggio-Emmaus ormai globalizzato del nostro tempo, e al netto di alcune voci isolate di critica infondata e preconcetta, Jorge Mario Bergoglio, il pastore all’inizio 'sconosciuto', si è fatto riconoscere, al pari di Gesù, nell’atto dello spezzare il pane. Dalla lavanda dei piedi del giovedì santo nei luoghi dell’umana sofferenza, fino allo sguardo costantemente puntato sui poveri, gli emarginati, gli immigrati, i senza fissa dimora. Cinque anni di papa Francesco. Cinque anni con il Vangelo in mano. Per proiettare nuova luce e nuova speranza sulla 'sera' dei tanti problemi del mondo.