Opinioni

Santoro e Berlusconi in tv. Come la politica perde realtà e serietà

Andrea Lavazza sabato 12 gennaio 2013
In un film cupo sulla politica come Le idi di marzo, il cinismo e la spregiudicatezza sono gli strumenti che accompagnano anche i programmi elettorali più alti e nobili. Eppure, in quella politica americana screditata se vista da dietro le quinte e retorica o ammiccante se vista dalla tv, ci sono cose che non si possono fare. Ad esempio, un incontro in segreto tra i responsabili delle campagne dei due candidati. Quando la stampa lo rivela, almeno uno deve andarsene. C’è un minimo di serietà che deve essere preservato. Un livello di responsabilità intesa come accettazione delle conseguenze (a volte irrevocabili) delle proprie azioni che va mantenuto. Altrimenti, tutto diventa un teatro che non ha alcuna corrispondenza con la realtà.
È questa, purtroppo, l’impressione che l’altra sera ha comunicato la puntata del programma Servizio Pubblico interamente incentrata sul confronto-intervista con Silvio Berlusconi. Lo spettacolo è stato assicurato (e i 9 milioni di spettatori lo confermano), ma le conseguenze sono sconfortanti. È possibile rovesciarsi addosso le peggiori accuse e rimanere tranquillamente seduti, sorridenti e spesso compiaciuti, davanti all’avversario (anzi, i protagonisti direbbero 'nemico'), poi scherzando o facendo palesemente finta di indignarsi, ma avendo l’accortezza di non superare il limite che metterebbe fine alla rappresentazione?
Che valore può contenere un contraddittorio dove toni e contenuti sono parossistici, ma non ne seguono effetti concreti? Che senso ha, infatti, per Santoro e Travaglio invitare Berlusconi e dargli un palcoscenico, se è davvero una specie di malfattore che ha rovinato l’Italia? Che senso ha per l’ex premier farsi mettere di fronte a tutte le proprie incoerenze, se non pensasse che tanto ciò che conta per i telespettatori-elettori è la battuta spiritosa o la gag esibita con il tempo giusto? L’effetto complessivo, duole dirlo, è stato quello della farsa, in cui la politica può fare a meno – a dispetto di tutto – della dura realtà dei fatti, per rifugiarsi in una bolla in cui nulla sembra più vero né serio.