Massima comprensione umana per il disagio personale che può aver spinto una pattuglia di deputati, in carica o ex, a tentare l’estrema resistenza contro la decisione di portare l’età minima dei vitalizi degli onorevoli da 50 a 60 anni. Ma qui forse, dalle parti di Montecitorio, qualcuno non ha ancora capito qual è la vera posta in gioco, alla luce della spinta imperiosa che arriva dall’opinione pubblica, per il superamento di un sempre più intollerabile regime di "benefit" a disposizione della classe politica. Eppure, quegli stessi onorevoli che hanno fatto ricorso contro la decisione unanime dei vertici della Camera, hanno già avuto più di un’occasione di ascoltare in aula interventi autorevoli, di questo e del precedente governo, che attestano la necessità di andare avanti ancora per un bel pezzo, tutti insieme, sulla strada dei sacrifici condivisi. Immaginare ancora la conservazione di aree di privilegio è francamente improponibile. Azzardare impossibili colpi di coda è autolesionismo puro, che rischia di azzerare la residua credibilità di un ceto bisognoso piuttosto di un rigoroso - anche se doloroso - processo di rigenerazione.