Migrazioni. È l'ora di civile resistenza all'egoismo e alla violenza
Gentile direttore,
le scrivo per ringraziarla dell’attenzione che il suo quotidiano dedica non solo alle attualissime questioni legislative connesse alla immigrazione, ma anche alla modalità e alla sufficienza con cui vengono respinte le critiche che alcuni presbiteri e vescovi italiani, unitamente a esponenti del mondo associativo e del laicato cattolico, hanno rivolto al ministro dell’Interno e alla sua ostentata devozione verso la Madre di Dio, divenuta per lui “patrona” di provvedimenti legislativi come il Decreto Sicurezza bis.
Attribuire alla Vergine del Magnificat patronati politici di decreti e norme che non tutelano i piccoli e gli esclusi significa bestemmiarne il nome, tradirne il messaggio, ignorare il Vangelo del Figlio suo che nel famoso brano dell’evangelista Matteo (Mt 25, 31-46) fa del bene compiuto ai piccoli e dell’amore disinteressato a chi è in difficoltà il criterio della benedizione del Padre.
Nell’affermare tali cose veniamo tacciati come sprovveduti e impulsivi, privi di una lettura del testo originale del decreto. Ma non è così. Abbiamo letto in tanti quelle norme, consapevoli che prima di pronunciare una parola, soprattutto nella tensione attuale intorno a temi così delicati, occorre essere seriamente pronti a darne conto. Si potrebbero citare numerosi passaggi problematici come quelli dell’articolo 1 che attribuisce al ministro dell’Interno la possibilità di limitare e vietare l’ingresso di navi nel mare territoriale per ragioni di ordine e sicurezza. Oppure le norme relative all’inasprimento delle sanzioni o ancora l’articolo 4 che stanzia più fondi per il rimpatrio degli irregolari che, in assenza di accordi con i Paesi di provenienza, non potranno però mai realizzarsi. E a sostegno dei dubbi vi sono i puntuali e approfonditi rilievi mossi al testo dal Capo dello Stato, ma anche posizioni autorevoli come quella del presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick che definisce il decreto un marchingegno complicato teso a scoraggiare e intimidire chi pratica il salvataggio in mare, ponendosi in opposizione agli obblighi di solidarietà previsti dalla nostra Costituzione.
Al di là del testo, tuttavia, ciò che mi più di ogni altra cosa mi preoccupa è lo sguardo miope di chi non riesce a cogliere che fenomeni migratori così imponenti devono essere gestiti in modo sano e rispettoso della dignità di chi fugge non solo dalla guerra, ma dalla povertà e dalla miseria, spesso attratto da un benessere occidentale che attrae quanto il miraggio di un pozzo d’acqua nel bel mezzo del deserto.
Sarebbe opportuno, inoltre, assumere una prospettiva complessa che tenga insieme diversi ambiti attuali che spesso vengono trattati a compartimenti stagni: un capitalismo che concepisce la globalizzazione solo come opportunità di sfruttamento, la non equa distribuzione della ricchezza e dei beni e i cambiamenti climatici. Risolvere il problema dell’immigrazione significa affrontare seriamente tutto questo e non ostinarsi sul sintomo senza sconfiggere il virus. Il sintomo infatti è destinato a tornare con ancor più prepotenza.
In ultimo, caro direttore, mi consenta una nota personale. Da circa sei anni dirigo una Fondazione diocesana della Chiesa di Pozzuoli che opera nell’area flegrea di Napoli e della sua provincia: la Fondazione Centro educativo diocesano Regina Pacis. Gestiamo tre centri diurni per minori a rischio di devianza, in territori fortemente segnati dalla criminalità organizzata, sportelli di psicologia clinica per bambini e giovani in difficoltà economica, una Comunità alloggio denominata “Casa Papa Francesco” nata per accogliere i giovani ragazzi provenienti dall’Istituto penale minorile di Nisida ma che ha aperto le braccia anche a diversi minori stranieri non accompagnati. Tutto questo lo facciamo con un forte investimento economico e professionale, senza nessun contributo statale, senza rette comunali, affidandoci unicamente al sostegno della nostra Diocesi e del nostro Vescovo e di quanti credono nel nostro operato.
Ciò che mi è dispiaciuto di più del commento del ministro Salvini alle mie parole, è proprio il suo riferimento ai camorristi in giro per la nostra terra, quasi come se, a fronte del problema, noi non avessimo il diritto e il dovere di uno sguardo ampio e di una critica che superi gli stretti margini dell’orticello locale. Che poi la camorra un fatto locale non è. E non solo a causa della sua economia che travalica enormemente i confini metropolitani e regionali, ma anche perché l’arroganza culturale che la contraddistingue si può rintracciare facilmente nelle parole di tanti uomini di potere e di dominio.
Per questo ripeto con ancora più forza il mio auspicio: che sorgano tante vocazioni di resistenza civile, non tanto all’ordine costituito – ci mancherebbe – ma a questa cultura fatta di egoismo e violenza che si sta diffondendo nel nostro amato Paese. Le leggi passano, soprattutto se fatte in modo ideologico e contro i princìpi costituzionali, tuttavia la cultura della violenza e dell’egoismo non si cancella facilmente. Ed è quella che mi preoccupa di più.
Sacerdote, direttore della Fondazione Centro educativo Regina Pacis, Diocesi di Pozzuoli