Il Golden Globe e la candidatura finale all’Oscar al film La grande bellezza di Sorrentino, la pellicola Sacro GRA tratta dal libro di Bassetti e Matteucci, le recenti riflessioni di Sandro Veronesi e Eraldo Affinati sul "Corriere" a proposito di Roma, portano a riflettere sul presente e sul futuro della capitale d’Italia. Non è un esercizio vano quello di interrogarsi su una città, così ricca di storia, in cui forte è il contrasto tra lo splendore storico, culturale e urbanistico, e le difficoltà e le povertà di una parte non piccola dei suoi abitanti.Lo ha fatto, con grande profondità, il Papa, che di Roma è il vescovo, nella sua omelia per il Te Deum celebrato in San Pietro a fine anno. «Roma è una città di una bellezza unica. Il suo patrimonio spirituale e culturale è straordinario. Eppure, anche a Roma ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza di ogni cittadino. A Roma forse sentiamo più forte questo contrasto tra l’ambiente maestoso e carico di bellezza artistica, e il disagio sociale di chi fa più fatica». E concludeva, papa Bergoglio: «La Roma dell’anno nuovo avrà un volto ancora più bello se sarà ancora più ricca di umanità, ospitale, accogliente; se tutti noi saremo attenti e generosi verso chi è in difficoltà; se sapremo collaborare con spirito costruttivo e solidale, per il bene di tutti». La Roma delle tante vittime di un tempo duro e difficile – vittime italiane o immigrate non importa – interpella la coscienza dei credenti. Perché la miseria che si insinua tra le splendide forme classiche o barocche dello scenario urbano non è solo frutto della crisi, ma anche dell’indifferenza, e della scarsità di reti di protezione e di riparo. Del resto, allargando il discorso, non è solo questione di Roma. Si potrebbe ben dire che Roma rivive in ogni città. Ebbene, città come le nostre, italiane, mediterranee, non vivono davvero se non sviluppano un tessuto comunitario, in cui prospettive e interessi diversi si ricompongano in un destino comune. Non le tante destinazioni divergenti di chi cerca di salvarsi da solo, ma un destino comune, di coesione, integrazione, solidarietà. La solidarietà può diventare una cultura per la città, per i suoi abitanti, dare un tono alto alla nostra convivenza urbana, offrirle un orizzonte più largo e pieno di senso. Lo scriveva con acutezza alcuni decenni fa Pier Paolo Pasolini, a proposito di una Roma insieme povera e meravigliosa: «Stupenda e misera città, che m’hai insegnato […]ad avere il mondo davanti agli occhi».Si apre una sfida di visione e di solidarietà, di cuore, di ragione, di operato concreto. Essa senza dubbio ricade su chi amministra la cosa pubblica, ma anche sui singoli e su ogni comunità. La Chiesa, in tutte le sue espressioni, fa da tempo la sua parte, e con papa Francesco si impegna a farlo ancora di più.C’è un anniversario che fa riflettere: il 40° del Convegno sulle attese di carità e giustizia (detto: sui mali di Roma) promosso dal cardinal vicario, Ugo Poletti, nel febbraio 1974 in cui 5mila romani, laici, preti, religiosi, si confrontarono sulle responsabilità dei cristiani di fronte a quelle attese. Si trattò di un’esperienza nuova e vitale, che Poletti definì un’«offerta di speranza». Si era chiesto infatti: «Ha la Chiesa qualcosa da dire alla società di oggi? Ha da dire – rispondeva – che il mondo attuale è inaccettabile, e che l’uomo ha la vocazione di trasformarlo». Sono parole che si riferiscono ovviamente a un contesto urbano diversissimo da quello odierno, ben più povero e problematico, e che colpiscono per la loro radicalità, ma nelle quali si avverte il senso di una responsabilità pastorale e civile che non può certo mancare nel tempo che stiamo vivendo, che non può non essere ritrovato, in particolare dopo il Te Deum di papa Francesco. Quella domanda si ripropone oggi, all’inizio di un nuovo anno, per Roma e per molte città, guardando al bisogno di solidarietà che manifestano i nostri tessuti urbani.