Sfratti. Ciruzzo e la casa che ai poveri lo Stato no, non può togliere
Case popolari nel Parco Verde di Caivano
Siamo tanto preoccupati, alcune persone sfrattate stanno andando in depressione. Un prete non è il funzionario con responsabilità limitate al suo lavoro. «Dietro i numeri ci sono le persone» ha detto con una felicissima espressione il prefetto di Napoli, Michele Di Bari. Vero. Una cosa è certa: lo Stato deve pretendere che i cittadini facciano il proprio dovere solamente dopo aver assicurato i loro diritti. La “giustizia” è questa. Giovedì scorso. Passeggiata pensierosa con il Capitano dei carabinieri e uno dei Commissari straordinari che tengono le redini del nostro comune sciolto per infiltrazioni mafiose. Si avvicinano tre ragazzini che conosco. Sono terribilmente seri, i loro volti non somigliano a quelli spensierati dei coetanei. Il più piccolo, Ciruzzo, mi prende la mano: «Veramente ci cacciate fuori dalle case?». Senza parole. Le bugie non si dicono. Illudere un bambino non è consentito. Ci scambiamo tra noi uno sguardo di tristezza. Poi: «No, state sereni. Tornate a giocare. Dalle case non sarete cacciati ….». Ha parlato il cuore.
Sono certo che è stata la cosa migliore da fare, anche se non so come andrà a finire. Spero che un giorno il bambino non mi accuserà di averlo ingannato. Spero che lo Stato abbia verso gli abitanti della mia parrocchia un atteggiamento misericordioso e giusto. Se 250 famiglie abitano - da 20, 30 anni - in una casa illegalmente, qualche domanda ce la dobbiamo porre tutti, a cominciare da coloro che hanno responsabilità nella gestione della Cosa pubblica. Un quartiere popolare non è un villino costruito abusivamente sul cucuzzolo di una montagna che potrebbe passare inosservato. Nemmeno possiamo credere che i corrotti abbiano invaso ogni stanza dei vari palazzi del potere. Il vero problema - lo vediamo anche in questi giorni - è la non sempre equilibrata responsabilità tra i diversi poteri insieme al rispetto dovuto a tutti, anche agli avversari politici. Mi addolora notare i disguidi - per usare un eufemismo - tra regioni e parlamento; parlamento e governo. Non alludo al benedetto dibattito, concime della democrazia, parlo delle offese - sovente vere calunnie - fatte da certi rappresentanti delle istituzioni ai danni dei loro colleghi. È del tutto logico che queste diatribe, indegne di un Paese civile, vanno poi a pesare sui più poveri. Così impegnati a denigrare, offendere, prendere a calci il buon senso, difendersi dai nemici, non penso che resti troppo tempo né voglia per pensare ai poveri relegati nei quartieri poveri.
Stanno là. Rassegnati. Negletti. Nell'oblio delle istituzioni si sviluppano i ghetti, o, come li ha definiti Giorgia Meloni, le «zone franche». Zona franca vuol dire che quel determinato territorio non è più soggetto alle comuni leggi dello Stato, ne è esente. La democrazia nasce per strappare ai più forti il dominio assoluto sui deboli. Se, in qualche luogo, viene meno, ritorna l'energumeno che pretenderà il possesso del bene pubblico e il controllo delle coscienze. E, per quanto strano possa apparire a chi ha la fortuna di vivere in un quartiere borghese di Roma o di Milano, è pur sempre meglio del caos. Quando la gente semplice dice, con un'espressione che rasenta la blasfemia, che si stava meglio prima dell'arresto del boss, occorre avere l'umiltà di voler comprendere prima di gettarsi in inutili giudizi. L'esegesi non si fa solo sui testi antichi, ma anche per i vari linguaggi e modi di esprimersi. Quella persona - magazi anziana, malata - non sta osannando il boss, ma esprimendo, a modo suo, il desiderio di vivere serena. Un suo diritto.
È facile disquisire della guerra in Ucraina stando in vacanza sulla neve. Chi convive con il male - soprattutto se ha figli piccoli e la mamma con l'Alzheimer - sa che con chi le sta rovinando l'esistenza deve arrivare a un compromesso. C'è un solo modo per non lasciare i poveri in balia della depressione, della disperazione, delle mafie ed è questo: lo Stato deve farsi accanto a loro. Prenderli per mano. Impedirgli di cadere nella trappola. Solo così potrà sottrarre alla malavita organizzata la linfa di cui ha tanto bisogno per tenersi in vita. Ancora una volta, chiedo aiuto a chi di compentenza per non venire meno alla parola data al piccolo Ciruzzo e ai tanti bambini della mia parrocchia. La casa, no, non gliela possiamo togliere.