Il direttore risponde. Ciò che uccide, ciò che fa vivere
Caro direttore,
fino a qualche decennio fa era consuetudine curare gli anziani nell’ambito familiare. Oggi per vari motivi l’aspetto tradizionale della famiglia è cambiato, spesso per chi è avanti con gli anni si aprono le case di riposo, e per molti di loro la solitudine diventa una triste compagna di viaggio. Anche se parecchie sono le esigenze di chi è meno giovane, non sempre queste richiedono prestazioni con alta professionalità. Spesso c’è solo bisogno di semplici gesti, capaci di facilitare la normale quotidianità. In questa circostanza molto importante è il volontariato. Anni fa col gruppo giovanile della mia parrocchia avevamo "adottato" alcuni vecchietti. Regolarmente provvedevamo ai loro piccoli bisogni, in cambio i loro occhi ci regalavano scintille di gratitudine, e tanto bastava per farci continuare. Non di rado andavamo nelle case di riposo, dove portavamo biscotti, piccoli spettacoli e soprattutto un sorriso. Per chi è in età avanzata, un altro disagio è il dover accettare passivamente quanto si decide per loro conto. Spesso si pensa di conoscere i loro bisogni, senza aver prima verificato quali siano realmente le loro necessità. Non dimentichiamo che anche quando il corpo diventa debole, la vita non perde mai la sua dignità. Cicerone nel "De senectute" diceva che «potrà essere vecchio il corpo ma l’animo non lo sarà mai». Purtroppo oggi siamo attenti a chi produce ricchezza, e siamo sempre meno disponibili verso chi non può farlo. Sovente la solidarietà è difficile e faticosa, ma non dimenticare gli anziani è un impegno che deve coinvolgere tutti.
Michele Massa, Bologna