Il direttore risponde. Ciò che serve nella transizione
Gentile direttore,
Silvio Berlusconi, votato in tre circostanze dalla maggioranza degli italiani, è stato per molti una speranza di stabilità politica e dinamismo economico. Per un quindicennio, tanti hanno confidato nel suo ottimismo e senso pratico, nelle capacità organizzative di capitano d’industria. Tutto questo oggi sta finendo per una micidiale combinazione di problemi economici, scandali, comportamenti indecorosi (ben nove processi pendono su di lui). Ma colui che, per molti, rappresentava una speranza di operosità e concretezza, contro la verbosità litigiosa e inconcludente della politica italiana in genere, ora è diventato il principale ostacolo della nostra vita democratica. «Siamo stufi di essere lo zimbello internazionale quando andiamo all’estero a esportare i nostri prodotti», ha affermato Emma Marcegaglia. E in tanti pensiamo che «l’Italia è meglio di così». Del resto, nessun leader occidentale sarebbe sopravvissuto a un decimo delle accuse che sono state rivolte al nostro premier. Per questo c’è chi propone al premier «dimissioni programmate», cioè annunciate ora e rese effettive, con conseguente ritorno alle urne, nella prossima primavera. Questa mossa produrrebbe una serie di vantaggi: "salverebbe" il suo partito; darebbe a esso e alle opposizioni l’opportunità di prepararsi alle prossime votazioni; eviterebbe derive anticostituzionali e mostrerebbe al mondo che noi italiani sappiamo gestire la nostra democrazia. Permetterebbe, infine, a Berlusconi di affermare, non senza qualche ragione, che il merito di questa transizione è anche suo.
Luciano Verdone, Teramo