Nel Paese degli aquiloni la speranza vola alto ma rischia di cadere miseramente a terra. E in questa tormentata vigilia delle elezioni presidenziali l’Afghanistan vede tutte le sue grandi aspettative trasformarsi in ancor più grandi timori. Che i taleban sarebbero tornati massicciamente all’attacco nell’imminenza del voto era un fatto largamente previsto. Ma nessuno immaginava che l’offensiva terroristica dei fondamentalisti islamici sarebbe arrivata fin dentro il blindatissimo centro di Kabul, il luogo più fortificato e protetto che ospita le massime istituzioni dello Stato e le sedi diplomatiche e militari della forza internazionale.I sanguinosi e spettacolari attentati compiuti nelle ultime ore mostrano che i taleban sono in grado di colpire dove e quando vogliono. In questo modo rendono credibili le truculente minacce lanciate per dissuadere la popolazione dal recarsi alle urne: chiunque verrà trovato con le mani segnate dall’inchiostro elettorale subirà il taglio delle dita. Già si dà per scontato che nelle zone più a rischio i seggi non apriranno. E questo accadrà anche nella provincia di Herat, l’area posta sotto il comando militare italiano. Dati che preoccupano, ma preoccupano altrettanto le migliaia di certificati elettorali fasulli ( denunciati dagli osservatori Ue) che lasciano presagire un alto numero di brogli. Un clima ben diverso da quello che aveva caratterizzato, nell’ottobre del 2004, le prime elezioni democratiche dell’Afghanistan: lunghe code davanti ai seggi, tutti ansiosi di vivere da protagonisti l’alba della democrazia nel «buco nero del mondo» da cui uscì il demone del terrorismo globale. A distanza di cinque anni regnano delusioni, paure e frustrazioni, a conferma che a volte la storia fa sì passi da gigante, ma all’indietro. Eppure le intenzioni degli afghani sembrano comunque premiare, anche questa volta, il desiderio di recarsi alle urne. L’80 % si è registrato per le elezioni ed oltre due terzi, stando a un recente sondaggio, considerano «molto importante» il voto presidenziale di domani. Di fatto la stragrande maggioranza degli afghani rifiuta il violento estremismo dei taleban ma al tempo stesso si dice scontento per l’inefficienza e la corruzione del governo e per l’incapacità di garantire un minimo di sicurezza da parte delle truppe internazionali dell’Isaf che in molti casi ha compiuto stragi tra i civili. Che il presidente Karzai punti, con buone probabilità, ad essere rieletto è uno dei tanti paradossi dell’Afghanistan dove la logica d’appartenza ai clan e le divisioni etniche favoriscono il tipico voto di scambio. Karzai è stato il pupillo dell’Occidente che però oggi sembra preferirgli il candidato dell’opposizione Abdullah Abdullah, fautore di un cambiamento dai contorni indefiniti. Il presidente alla ricerca del secondo mandato ha risposto stringendo alleanze con i signori della guerra, in particolare con il discusso generale Rashid Dostum che gli porterà in dote il voto della comunità uzbeka e la speranza di vincere al primo turno. Ma il test cruciale di questo voto è rappresentato dall’affluenza alle urne. Una partecipazione molto ridotta segnerebbe una sconfessione non solo dell’operato di Karzai ma di quello dell’intera comunità internazionale che mantiene in Afghanistan oltre 100 mila soldati a difesa di un bastione essenziale per la sicurezza del mondo. Lo ha ribadito il presidente americano Obama che ha deciso di rafforzare la presenza militare statunitense per contrastare l’aggressività degli estremisti islamici. Dalle urne di Kabul uscirà un verdetto che riguarda anche l’Occidente e la sua pretesa di dettare legge nel 'buco nero del mondo'.