Pax Christi. In Marcia a Sotto il Monte: cinquant'anni dopo sulla stessa via di pace
La Marcia di Capodanno per la pace del 2014 in provincia di Vicenza (Foto Giorgio Boato)
Caro direttore,
è bello che tra pochi giorni, il prossimo 31 dicembre, si torni a celebrare la Marcia di Capodanno per la Pace, la cinquantesima della serie, e proprio là dove si celebrò la prima. Furono i giovani di Pax Christi, nel primo Consiglio nazionale, formato dopo la mia nomina a presidente, con i gruppi allora esistenti a chiedere che nell’ultimo giorno dell’anno si facesse una Marcia della Pace, finendo col celebrare una Messa a mezzanotte, così da iniziare la Giornata Mondiale per la pace, che Papa Paolo VI aveva proposto a tutto il mondo proprio al 1° gennaio 1968, in un momento di riflessione e preghiera, con un digiuno che avrebbe sovvenzionato iniziative sociali (come fu, ad esempio, per la vicaria di solidarietà a Santiago del Cile, durante la dittatura). Fu ovvia la scelta di Sotto il Monte, paese natale di Giovanni XXIII, il Papa che aveva indetto il Concilio Vaticano II e che, nel 1962, aveva bloccato la tensione armata tra gli Usa e l’Urss per la questione di Cuba, a cui aveva fatto seguire, nell’aprile 1963, la grande enciclica Pacem in terris, un appello per la pace rivolto «a tutti gli uomini di buona volontà».
Iniziammo nel cortile di casa della famiglia Roncalli, con un discorso di padre Turoldo, il quale, rifacendosi al titolo del nostro Movimento, richiamò che non c’è una «pace romana», come si diceva duemila anni fa, o una «pace americana» come si diceva in quel tempo, ma la vera «pace» è quella «di Gesù Cristo». In questi cinquant’anni abbiamo girato l’Italia, dando ogni volta come titolo alla Marcia quello indicato dal Papa per la Giornata della pace del 1° gennaio, facendola precedere da una giornata di riflessione.
Quando, nel 1981, monsignor Bernini, vescovo di Albano e presidente della Commissione 'Giustizia e pace' della Conferenza episcopale italiana, propose che la Marcia di Capodanno divenisse la Marcia della Cei, lasciando poi l’organizzazione in mano a Pax Christi, questo diede alla Marcia una maggiore autorevolezza (oltre che alcune limitazioni, come per la scelta dei relatori) e aprendoci le porte delle grandi città: da Roma a Palermo, da Firenze a Milano, ma anche ad Assisi. Davvero un segnale per l’Italia intera. La Marcia diventa così un’icona dell’impegno per la pace, un impegno che parte dalla convinzione personale, ma che deve aprirsi all’impegno sociale – e perché sia più efficace dev’essere collettivo – per sconfiggere l’idea che la guerra è inevitabile (tanto più la guerra frammentaria, quale oggi si sta sperimentando, nella prospettiva terribile d’una guerra atomica), mentre superate le guerre medioevali tra le città, superate le guerre successive tra le nazioni, bisogna lavorare perché un’Onu veramente democratica (senza Stati con diritto di veto) ed efficace (con un suo esercito in funzione di polizia mondiale) possa risolvere i problemi insorgenti senza più il ricorso alle guerre.
E vanno affrontati i problemi connessi, a cominciare da quello della produzione e del commercio delle armi (Pax Christi italiana, negli anni 80 del Novecento, tenne convegni sul tema, a Milano, in connessione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore), un tema su cui insiste anche papa Francesco (perché se si moltiplicano le armi poi bisogna suscitare guerre per usarle!), e su cui bisogna far chiarezza, anche per non giungere, come ha fatto un alto ufficiale delle Forze Armate italiane in tv ('Atlantide' su La7, 22 novembre), ad affermare che i famosi e costosi F35 sono 'Abele che deve distruggere Caino, che è il male'! Attenzione a citare la Bibbia, dopo aver voluto come protettore dell’Esercito il Papa della Pacem in terris, perché la Genesi (4,15) aggiunge che «chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte». Lo spirito cristiano, della preghiera e della responsabilità, ci accompagni nella nostra generosità e nelle nostra speranza.
*Vescovo emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi Italia