Analisi. Cina, ordinato vescovo col mandato del Papa
Stefania Falascagiovedì 6 agosto 2015
Con le parole piene di gratitudine della seconda Lettera di Paolo ai Corinti il 44enne Giuseppe Zhang Yinlin, nuovo vescovo coadiutore della diocesi di Anyang in Cina, martedì si è rivolto ai fedeli al termine della sua ordinazione episcopale. Erano più di tre anni che in Cina non venivano consacrati vescovi cattolici. Alla liturgia di ordinazione di Giuseppe Zhang hanno preso parte più di settanta sacerdoti e oltre un migliaio di fedeli. Tutti legittimi i vescovi consacranti, in piena e pubblica comunione con la Sede apostolica e riconosciuti come vescovi anche dagli apparati governativi. Nessun vescovo cinese illegittimo era presente alla celebrazione. In aprile Zhang era stato eletto come candidato unico alla carica di vescovo coadiutore di Anyang, seguendo le procedure di selezione imposte dagli apparati 'patriottici'. Ma lo stesso vescovo Zhang aveva già ricevuto l’approvazione della Santa Sede all’ordinazione episcopale fin dal 2009. Come leggere dunque questa nuova nomina episcopale in Cina?
(Foto dell'ordinazione, dal sito Asianews.it che le ha rese pubbliche) L'ordinazione di un vescovo con il riconoscimento da parte del governo e allo stesso tempo con il mandato apostolico già precedentemente approvato dalla Santa Sede costituisce una sorta di 'consenso parallelo' all’elezione episcopale. E assume un’importanza nel contesto in cui esso oggi avviene, che vede risvegliarsi le attese per una riapertura di un dialogo negoziale con le autorità civili cinesi anche sulla cruciale questione delle nomine vescovili, sulla quale era già intervenuto Benedetto XVI nella famosa Lettera ai cattolici cinesi del 2007, riferimento imprescindibile per dare soluzione alla condizione dei cattolici in Cina. La procedura seguita per l’ordinazione episcopale di Giuseppe Zhang non rappresenta di per sé una novità. Il metodo delle ordinazioni episcopali con 'consenso parallelo' già a partire dal 2004 aveva visto molti giovani vescovi cattolici cinesi eletti e ordinati con il riconoscimento del governo e contemporaneamente con la pubblica e dichiarata approvazione della Santa Sede. In quegli anni le ordinazioni realizzate con approvazioni parallele da Pechino e dal Vaticano rappresentavano una soluzione provvisoria sperimentata nel cammino faticoso e pieno di 'incidenti di percorso' verso un accordo sulla delicata questione della selezione dei vescovi cinesi. Nel 2007, nella sua Lettera Benedetto XVI aveva proprio espresso il desiderio di «un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti la scelta dei candidati all’episcopato» e aveva ribadito anche come la soluzione dei problemi esistenti non poteva essere «perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili». La Lettera di Benedetto XVI, firmata il giorno di Pentecoste e resa nota il 30 giugno 2007, rappresenta perciò un documento chiave tuttora validissimo e carico di buoni auspici per i cattolici nella Cina moderna. Papa Francesco nella conferenza stampa durante il volo di ritorno da Seul il 18 agosto 2014 ribadiva l’attualità di quel documento che rimane «fondamentale e attuale per il problema cinese»: «Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione... non bisogna dimenticare quel documento fondamentale per il problema cinese che è stata la Lettera inviata ai Cinesi da Papa Benedetto XVI. Quella Lettera oggi è attuale, ha attualità». E sottolineava: «Rileggerla fa bene... sempre la Santa Sede è aperta ai contatti: sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese». Quella di Francesco è perciò l’espressione di un possibile compimento di una prospettiva già delineata da Papa Benedetto nei confronti della vita della Chiesa in Cina. I venti paragrafi del testo offrivano tutti gli strumenti per chiudere un’epoca di malintesi e controversie che hanno scandito gli ultimi decenni. La Lettera è disseminata di passaggi tesi a disinnescare i sospetti delle autorità cinesi sulla presunta vocazione 'eversiva' della Chiesa rispetto agli assetti di potere civile. Si cita il Concilio Vaticano II per ricordare che la Chiesa «non si identifica in nessun modo con la comunità politica e non è legata a nessun sistema politico». Si ripete, sulla scia di Matteo Ricci, che «la Chiesa cattolica di oggi non chiede alla Cina e alle sue autorità politiche nessun privilegio», e che anche «la Chiesa cattolica che è in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l’amministrazione dello Stato, bensì di annunziare agli uomini Cristo». Anche sul nodo controverso delle nomine dei vescovi, la Lettera insiste sul fatto che quella dei successori degli apostoli è un’«autorità spirituale» che rimane «nell’ambito strettamente religioso. Non si tratta quindi di un’autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità». Mostra comprensione davanti al fatto «che le autorità governative siano attente alla scelta di coloro che svolgeranno l’importante ruolo di guide e di pastori delle comunità cattoliche locali». E auspica quindi anche «un accordo con il governo per risolvere alcune questioni riguardanti la scelta dei candidati all’episcopato» e per adeguare le circoscrizioni e le province ecclesiastiche alle nuove suddivisioni dell’amministrazione civile. Un solo punto viene posto come irrinunciabile: che la guida pastorale della Chiesa sia esercitata dai vescovi. La Lettera specifica che «la predicazione del Vangelo, la catechesi e l’opera caritativa, l’azione liturgica e cultuale, nonché tutte le scelte pastorali competono unicamente ai vescovi insieme con i loro sacerdoti». Senza nominare direttamente l’Associazione patriottica (la cui sigla compare solo in una nota che ne cita gli statuti) il testo si limita a richiamare che «la pretesa di alcuni organismi, voluti dallo Stato ed estranei alla struttura della Chiesa, di porsi al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiale, non corrisponde alla dottrina cattolica». A essere inconciliabili con la fede cattolica sono «i princìpi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa cattolica» che l’Associazione patriottica promuove per mandato statutario. Ma la Lettera di Ratzinger non chiede né suggerisce lo smantellamento dell’Associazione patriottica come condizione preventiva per eventuali negoziati. Nelle pagine di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, come nell’apertura al dialogo su questo punto mostrata da Francesco e dalla strada diplomatica perseguita dalla Santa Sede, fluisce la saggezza della Chiesa di sempre. La stessa che un secolo fa aveva dettato la Maximum illud, l’epistola apostolica di Benedetto XV dedicata alle missioni, riflettendo una linea realista che ha come criterio sempre il bene delle anime. E, come san Paolo, affida alle armi inoffensive della preghiera «per tutti gli uomini, per i re e per quelli che stanno al potere» anche le attese e le speranze per i cristiani dell’ex Celeste Impero. L'ultima nomina vescovile sembra porsi ora come segnale di apertura alla possibilità di riprendere negoziati anche sul punto critico della selezione dei vescovi. Lo scopo dichiarato della 'linea dirigista' del governo cinese non appare di per sé quello di attentare alla natura sacramentale e apostolica della realtà ecclesiale cinese: queste cose a loro non interessano, né sembrano intenzionati a comprenderle più di tanto. Ma proprio questa noncuranza del regime per le sole cose che fondano e nutrono la Chiesa («giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia», Paolo VI, Credo del popolo di Dio) potrebbe rivelarsi anche adesso una paradossale alleata nella soluzione graduale dei problemi ancora aperti nel rapporto tra Cina popolare e Santa Sede, affinché sul treno in corsa della Cina di oggi e di domani i figli nella fede dei martiri del XX secolo possano con facilità godere dei tesori della grazia e «vivere una vita calma e tranquilla, con tutta pietà e dignità» (1 Tm 2, 2).