Opinioni

Editoriale. Nel Golfo la partita tra Usa e Cina si gioca sulle tecnologie. Chi vincerà?

Eleonora Ardemagni martedì 24 settembre 2024

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti non perdono occasione di mostrare quanto sia affollato il loro “album” di amicizie internazionali: Stati Uniti ma anche Russia, Cina ma anche India e molti altri compresi, in ordine sparso, i Paesi europei.
Trainato dall’export di petrolio e gas, il multipolarismo del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e del presidente emiratino Mohammed bin Zayed sembra non conoscere limiti. E questo ha complicato la storica alleanza con gli Stati Uniti: la relazione con la Cina, all’inizio solo energetica, è così cresciuta da divenire partnership strategica, proprio ora che americani e cinesi competono per l’egemonia globale. Nei giorni scorsi, Arabia Saudita ed Emirati hanno accolto il primo ministro cinese per consolidare i rapporti bilaterali e il regno saudita ha introdotto l’insegnamento della lingua cinese nelle scuole, già diffuso negli Emirati. Abu Dhabi parteciperà come membro al vertice di ottobre dei Paesi Brics in Russia, a cui è stato invitato anche Mohammed bin Salman.

Tutto perduto, dunque, per gli Stati Uniti? A ben guardare, l’ostentato multipolarismo di Arabia ed Emirati conserva ancora qualche freno. Ed è lì che gli americani possono arginare la penetrazione cinese nel Golfo. Infatti, in alcuni settori-chiave come tecnologie avanzate e intelligenza artificiale (IA), Riyadh e Abu Dhabi, in affari sia con compagnie americane che cinesi, fanno sempre più fatica a mantenersi in equilibrio tra i due rivali. Anche le capitali arabe del Golfo stanno investendo in tecnologie avanzate e IA. È l’effetto della diversificazione economica dagli idrocarburi: le nuove tecnologie sono applicabili a tutti i contesti, dai più quotidiani (trasporti e logistica, sanità) ai più sensibili (sicurezza e difesa). Il punto è che sauditi ed emiratini non si accontentano di “esserci”, ma intendono primeggiare, come evidenzia il Global Summit AI svoltosi a Riyadh il 10-12 settembre. Nel 2017, gli Emirati sono stati i primi a nominare un ministro per l’intelligenza artificiale e l’Arabia Saudita ha istituito un fondo da 100 miliardi di dollari per trasformare la sua AI Strategy in realtà, a cominciare dalle infrastrutture digitali di Neom, l’avveniristico progetto urbano nel deserto.

Adesso il Golfo rischia però il cortocircuito geopolitico fra Stati Uniti e Cina, avendo fin qui giocato forte su entrambi i tavoli. Washington teme infatti che i cinesi possano accedere e reimportare le sue tecnologie da Paesi terzi. Le monarchie non possono permettersi di essere tagliate fuori dalle innovazioni americane, né ai sauditi conviene complicare ora le trattative per il nuovo patto di difesa con Washington. Lo spirito multipolare allora vacilla.

Il caso della compagnia saudita Alat è emblematico. Pochi mesi fa Alat ha firmato un accordo con Dahua, la principale compagnia cinese di tecnologie per la sorveglianza: Dahua è però sotto sanzioni da parte americana per “minaccia alla sicurezza nazionale”. Davanti al disappunto Usa, i vertici di Alat hanno allora pubblicamente dichiarato che, qualora gli americani lo chiedessero, sarebbero pronti a disinvestire dalla Cina. Esattamente ciò che è già accaduto agli Emirati Arabi la primavera scorsa, quando la compagnia di IA del fratello di Mohammed bin Zayed, G42, ha disinvestito dalla Cina trasferendo gli asset in un altro fondo, dopo le insistenti pressioni dell’amministrazione Biden e del Congresso americano. Firmando subito dopo un ricco contratto con Microsoft.
Quando le monarchie del Golfo vengono messe alle strette dagli americani, esse scelgono, ancora, Washington, pur di non compromettere i loro ambiziosi progetti di leadership tecnologica. Perché realizzarli significa, anche, leadership militare. Per Arabia Saudita ed Emirati, il multipolarismo è bello (e utile) fino a quando non compromette gli ambiziosi obiettivi nazionali. Una consapevolezza che può aiutare gli Stati Uniti nella partita, lunga e difficile, con la Cina per l’influenza nel Golfo.