Lettere ad Avvenire. Se si vuol negare la parola «madre»
Caro Avvenire,
ho letto con tristezza l’articolo «Abolire “madre”, negare la realtà» (“Avvenire” del 20 aprile). Purtroppo oggi i sedicenti sapienti vogliono eliminare il nome della creatura più nobile. Negli anni scorsi abbiamo visto cancellare “mamma” e “papà” da tante anagrafi. Ora i medici inglesi negano che sia la mamma a donare la vita e vorrebbero sostituire il termine con “persona”. Dai tempi della scuola ricordo una poesia di Francesco Pastonchi e una lettura sulla mamma. La prima cominciava così: «Una mamma è come un albero grande / che tutti i suoi frutti dà: / per quanti gliene domandi / sempre uno ne troverà... ». La lettura iniziava: «Mamma, è la prima parola che il bimbo pronuncia quando comincia a parlare, ed è l’ultima che l’uomo dice prima di rendere l’anima a Dio». Io ho avuto la grazia di avere la mamma fino a 63 anni, e so quanto ha sofferto nel dare la vita a sette creature. Soffriva per me, primogenito, malato sin dalla nascita. Io la pregavo di non piangere perché avevo tanti amici, ero amato e amavo. Ma il cuore della mamma non resiste davanti alla sofferenza dei figli.
Domenico Marchesi Vestone (Bs)Il lettore si riferisce alla recente raccomandazione emessa dalla British Medical Association, l’associazione dei medici britannici, perché alla parola “pregnant mother” (madre incinta) venga sostituita l’espressione “pregnant people” (persone incinte, gente incinta): e questo al dichiarato scopo di non offendere i transgender. Ne ho scritto pochi giorni fa, citando la affinità della lunare indicazione con il profetico romanzo “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley, e non ci tornerei se non per una annotazione marginale. È in corso una battaglia culturale perché si declinino al femminile incarichi e professioni: perché si dica “sindaca”, “prefetta”, “avvocata”. Questa battaglia viene indicata come qualcosa di fondamentale per correggere un linguaggio altrimenti maschilista. Da donna, vorrei dire che mi pare qualcosa di totalmente irrilevante, giacché non basta certo mettere un termine al femminile per cambiare, eventualmente, la sostanza delle cose. Trovo curioso però come, in questo proliferare politicamente corretto di sindache e ministre, un autorevole ente come la British Medical Association tenti di rendere “neutra” la più inevitabilmente femminile delle espressioni, “madre incinta”. Così che la facoltà naturalmente spettante solo e soltanto alle donne dovrebbe essere espropriata a favore di un modo di dire improbabile e nebuloso. Che cosa vorrà dire se, mentre ci si vezzeggia con le ministre e le sindache, si pretende che la materna facoltà di generare diventi neutra? A me pare un passo in più nell’imperativo del cosiddetto “gender”, l’ideologia (meglio: l’insieme di teorie) che afferma l’identità maschile o femminile come fatto meramente culturale, e nega invece che siano dati biologici originari. Diranno forse un giorno i nostri nipoti, camminando per strada accanto a una futura mamma: «Hai visto quella persona incinta?». Spero, speriamo, di no. Che mondo sarebbe quello dove a questa frase dovessero sussultare solo i più vecchi, essendo ormai, la neolingua, dogma insegnato fin dalla scuola dell’infanzia.