Opinioni

Campagna elettorale e «temi etici». Ciò che non va tra parentesi

Francesco D'Agostino venerdì 11 gennaio 2013
Il peso della crisi economica è tale che la campagna elettorale si giocherà inevita­bilmente soprattutto sulle risposte politiche e di governo a essa. Ma ci sono altre questio­ni, dalle importantissime ricadute civili e so­ciali, che non possono essere messe tra pa­rentesi, e i lettori di Avvenire lo sanno molto bene per averne letto spesso su queste pagi­ne anche negli ultimi tempi.
Si tratta dei te­mi che da qualche tempo si usa qualificare co­me "etici" (la famiglia, la libertà religiosa, i diritti umani, le questioni bioetiche). Mi a­spetto quindi, e come cittadino elettore an­ch’io non vorrei restare deluso, che su questi temi non solo i partiti, ma anche i singoli can­didati – in particolare quelli "cattolici" – si pronuncino espressamente: si tratta infatti di questioni che hanno una valenza non pri­vata e intimistica, ma pubblica e soprattutto "politica". Le ragioni sono evidenti.
Partiamo dalla famiglia: essa è, e rimane no­nostante tutto, il luogo privilegiato della 'fe­licità' (come è dimostrato dal fatto che è og­getto di mille tentativi di 'imitazione'!) e co­stituisce altresì la risorsa sociale più natura­le e più potente che ci sia per far fronte a esi­genze che nemmeno lo Stato più ricco del mondo riuscirà mai a fronteggiare adegua­tamente: l’educazione primaria, l’inseri­mento dei giovani nel mondo del lavoro, l’ap­poggio ai malati e, in generale, ai soggetti "de­boli", l’assistenza degli anziani. Un’intelli­gente politica per la famiglia non significa so­lo la tutela di un bene umano primario, ma consente allo Stato di meglio utilizzare le scar­se risorse destinate al welfare e, nel medio e nel lungo periodo, contribuire al rallenta­mento di un problema drammatico come quello del decremento demografico.
Proseguiamo, nella nostra rapida analisi, con il tema dei diritti umani e della libertà reli­giosa. Un autentico impegno per la promo­zione dei diritti fondamentali (che non deve mai rallentare) implica che non si inquini il tema dei diritti umani con quello dei "desi­deri". Ad esempio, far rientrare nella battaglia per i diritti la pretesa di concedere il matri­monio e l’adozione alle coppie gay non ha nulla a che vedere con la giusta lotta contro le discriminazioni nei confronti delle perso­ne omosessuali. È piuttosto una pretesa che incrina la corretta immagine dei diritti del­l’uomo, deformandola in una visione indivi­dualistica e in definitiva anti-personalistica.
Di qui il sempre più frequente senso di fasti­dio che emerge in molti quando si fa appel­lo ai diritti umani fondamentali, come se es­si si riducessero a un cavallo di Troia per far implodere dall’interno la realtà relazionale coniugale e familiare. È un rischio che non possiamo correre e che dobbiamo intercet­tare prima che sia troppo tardi. Ed è indi­spensabile da parte dei politici una parola chiara al riguardo. Parole altrettanto chiare vanno riservate al­la libertà religiosa. Da parte di alcuni, pur­troppo non pochi, viene spesso ridotta – nel nome di un malinteso laicismo – alla libertà di confessare privatamente la propria fede.
Per quanto sia difficile farlo capire ai laicisti più estremisti, va ribadito che la fede o è pub­blica o non è, e che il rilievo pubblico di u­na data fede religiosa non interferisce in al­cun modo col rilievo pubblico che va rico­nosciuto a qualsiasi altra confessione, ma serve a garantire al cittadino credente la pro­pria identità. Quanto ai temi bioetici il discorso può esse­re persino rapidissimo. Il buon uso (cioè l’u­so eticamente corretto) della biomedicina e dei suoi progressi non solo ha impressionanti ricadute sulla dignità della persona (e già que­sta considerazione sarebbe sufficiente a chiu­dere il discorso), ma contribuisce delimitare saggiamente i limiti del potere della scienza e degli scienziati e a fronteggiare il fascino di pericolose forme di "tecnocrazia". Che il mondo non possa essere governato esclusi­vamente dagli scienziati è consapevolezza diffusa; per tramutare però questa consape­volezza in decisioni socialmente vincolanti non sono sufficienti gli allarmismi della fan­tascienza o della cinematografia catastrofa­le, ma è indispensabile un forte impegno po­litico.
Bisogna quindi che nella campagna e­lettorale entri in modo esplicito e non equi­voco anche la "biopolitica". E ogni candida­to faccia capire come la pensa e che cosa si prepara a fare (o non fare) e a sostenere.