Il senso della laicità: un caso francese. Ciò che non si può neutralizzare
Il lancio di agenzia, già di per sé tale da apparire a molti marginale, sembra che già sia stato corretto: il sindaco di Vesoul, piccolo centro nell’Est della Francia, ha dichiarato infondata la notizia secondo la quale la richiesta di un’anziana suora cattolica di essere accolta in una casa comunale di riposo sarebbe stata respinta, a causa del velo e dell’abito religioso che la suora non intendeva rinunciare a indossare. Velo e abito che sarebbero stati interpretati dalla commissione incaricata di gestire l’accoglienza nella casa come una mancanza di rispetto della "laicità" francese, che proibisce di ostentare in pubblico la propria appartenenza a una qualsiasi comunità religiosa.
Naturalmente, siamo ben lieti che il sindaco di Vesoul abbia considerato un errore il giudizio della commissione e che la questione (almeno così sembra) si sia potuta risolvere senza attivare ulteriori polemiche. Resta però il fatto che lo Stato francese (imitato da diversi altri Paesi) interdice da anni attraverso la legge la manifestazione pubblica della propria identità religiosa. Interdizione, questa, giustificata per garantire il pluralismo religioso del Paese, ma che in realtà nasconde a fatica quella che è la sua vera motivazione (di lontana origine rivoluzionaria): la fede, anzi tutte le fedi, sarebbero intrinsecamente pericolose, perché caratterizzate da una vocazione totalitaria strutturalmente antidemocratica. E che questa convinzione, ancorché mascherata, emerga, sia pur indirettamente, anche in piccoli contesti, come Vesoul, dà davvero a pensare e sembra un’ennesima conferma dell’arguto detto comune che capovolge una illuminazione letteraria su Dio sostiene che "il diavolo si nasconde nei dettagli".
Non si tratta qui di riaprire un discorso estremamente complesso sul principio di laicità e sulle sue diverse modulazioni storiche: vale solo la pena di ricordare che questo principio è stato introdotto nella storia esclusivamente dal Vangelo e che la sua applicazione tuttora crea infiniti problemi all’ebraismo, all’islam, all’induismo e a molte correnti del buddismo. Una significativa riflessione sul principio di laicità, dopo averne sottolineato la rilevanza nel nostro tempo, impone a tutti di ricordare che esso non può attualizzarsi semplicemente escludendo ogni riferimento a Dio nella è dalla vita pubblica.
Dobbiamo con infinita pazienza ricordare ai laicisti (almeno ai più estremisti tra di loro, che sono anche i più ingenui e quelli culturalmente più rozzi) che quella perdurante presenza di Dio, a loro avviso meritevole di essere marginalizzata, se non completamente rimossa, emerge non solo attraverso segni estrinseci di appartenenza da parte dei credenti (tipico per cristiani il Crocifisso), ma attraverso stili di vita, dinamiche relazionali, letture predilette e perfino nello stesso linguaggio quotidiano. La laicità francese si illude di poter garantire la pacifica convivenza di fedi diverse, cercando di neutralizzare le apparenze 'esteriori' dei credenti; la fede prima che in abiti, in veli, in simboli materiali vive nei 'cuori' e i cuori non possono essere neutralizzati, soprattutto quando il 'neutralizzatore' altri non sarebbe che lo Stato, cioè una struttura preziosa, ma burocratica e formale, dominata da un freddo principio di funzionalità; una struttura che solo quando cerca di identificarsi (peraltro arbitrariamente!) con la 'nazione' si affatica per attivare una solidarietà tra i cittadini, capace di evocare (ma il più delle volte invano) il calore comunitario delle fedi religiose.
Per concludere, un piccolo grato pensiero all’anziana suora di Vesoul, che dopo aver indossato per tutta la vita l’abito e il velo del suo ordine ha resistito alla pretesa di farci laicisticamemente 'neutralizzare'. Non ci ha dato sul principio di laicità un insegnamento nuovo, ma una testimonianza preziosa, su cui dobbiamo tutti tornare a meditare.