Opinioni

Perché Francesco scalda anche gli Usa. Ciò che manca alla politica

Mauro Magatti domenica 27 settembre 2015
Il calore, l’entusiasmo, la gioia che hanno attraversato l’opinione pubblica, i media e la politica americana nei primi giorni del viaggio di papa Francesco sono andati al di là di ogni aspettativa. Tanto più tenendo conto che la cultura degli Stati Uniti, gelosa del pluralismo delle sue Chiese (cristiane), ha sempre guardato il papato con un certo distacco. Un distacco che, forse per la prima volta nella storia, pare superato proprio in questi giorni. Che cosa è accaduto? Certo, una parte della spiegazione va cercata nella capacità di papa Francesco di entrare in sintonia con tutti. Il suo stile caloroso e diretto raggiunge direttamente il cuore e la vita delle persone. Facendo crollare muri e diffidenze. Ma non si tratta solo di questo. C’è qualcosa di più profondo che si è mosso con questo viaggio americano, qualcosa che passa dalla persona del Santo Padre, per andarne oltre. È come se Francesco fosse in grado di riempire un vuoto che, nelle democrazie avanzate, tutti avvertono, ma che pure non si sa riconoscere né tanto meno colmare. Nell’ultima parte del ’900 la capacità della politica di produrre significati condivisi si è infatti significativamente ridotta, a tutto vantaggio di un funzionalismo tecno-economico che si caratterizza per la sua neutralità valoriale. Tutti parlano, ma nessuno dice niente. Come se l’unico problema della vita comune fosse quello di far funzionare l’economia, i trasporti, la sanità, la giustizia, etc., lasciando poi sulle spalle di ogni individuo l’onere di costruire il senso della propria vita. In un gioco in cui sono evidenti non solo le conseguenze sulla vita democratica – impoverita, caotica, impersonale – ma anche la fatica a riprodurre l’idea di bene comune e persino di dignità della persona umana. In questa situazione – per molti aspetti problematica – si profila la possibilità di una relazione nuova tra politica e religione, e specificatamente Chiesa cattolica. Cosa che si era già intravista in anni passati – specie con Giovanni Paolo II – ma che con papa Francesco trova nuovi e importanti sviluppi. Ci sono tre aspetti che permettono di cogliere la direzione di tale trasformazione. In primo luogo, il profilo globale del papato attuale: un Papa sudamericano dentro una organizzazione che ha il suo fulcro nella Roma europea, ma che si estende in tutti i continenti. Ciò fa del Papa uno dei pochissimi soggetti capaci di uno sguardo planetario, in grado cioè di parlare all’uomo in quanto tale, di ogni latitudine e di ogni cultura. Si potrà essere d’accordo o meno. Ma si tratta di qualcosa che la politica non riesce a fare, invischiata come è nel suo spazio territoriale. Effetto che è stato addirittura palpabile nella standing ovation tributata dall’assemblea Onu alla fine del discorso di Francesco.In secondo luogo, la natura istituzionale e insieme personale del papato. Il fatto che la persona del Papa sia il riferimento supremo di una comunità che coinvolge più di un miliardo e duecento milioni di persone nel mondo lo rende mediaticamente ipernotiziabile. Ciò significa la possibilità di avere voce nella sfera pubblica internazionale ed essere in grado di parlare a tutti, e non solo ai fedeli cattolici. In terzo luogo, in un mondo funzionalizzato, si chiede alla religione, alla Chiesa, al Papa, ciò che il resto della società non sa più offrire: apertura al mistero e al senso; importanza per la vita di ogni persona, anche di chi è scartato; tenerezza, umanità. Una domanda che papa Francesco, che unifica in modo così naturale nella propria persona quello che dice, quello che fa e quello che è, soddisfa in modo davvero efficace. Con Francesco si ha una grande istituzione che, nel suo capo, fa coincidere la parola con l’azione. E questo spiazza completamente, e attrae, il mondo contemporaneo. Si tratta di aspetti molto importanti. La 'politica' di Francesco è del tutto diversa da quella a cui siamo abituati: egli parla e costruisce convergenze ampie e trasversali attorno a temi di cui nessuno osa più affrontare per paura di perdere consensi. Temi peraltro essenziali, che hanno a che fare con la nostra condizione umana e la nostra vita insieme. In questo modo, il Papa si pone su un piano che ormai sfugge completamente ai sistemi democratici contemporanei. Per questo, chi cerca di strumentalizzare le sue parole e i suoi gesti, tirandole da una parte o dall’altra, manca completamente il bersaglio. Con il primo Papa sudamericano, siamo dunque entrati in un nuovo secolo nei rapporti tra politica e religione. Per la Chiesa, si tratta di un’occasione straordinaria. Mai come in questo momento, c’è spazio per una Chiesa coraggiosa, libera, ardente. Una Chiesa disposta a farsi attraversare dallo Spirito, che prende parola perché ama e serve davvero ogni uomo con lo stesso sguardo misericordioso da cui è essa stessa guardata dal Padre creatore. Di questa Chiesa, che papa Francesco fa oggi risplendere, il mondo intero ha enorme bisogno.