Mediterraneo centrale. Ciò che l'Italia deve fare per fermare la «quasi guerra»
Quasi guerra: questa è la situazione per chi si affaccia oggi sul Mediterraneo. L’intervento in Libia della Turchia assieme alla reazione della Russia, hanno accelerato la deriva verso il confronto armato. Uno scontro diretto attorno a Sirte oppure un incidente sul mare di qualsiasi tipo, ad esempio contro l’operazione europea Irini (vista da Ankara come il fumo negli occhi) o contro la sovranità di Cipro, o per qualunque altra motivazione (oleodotti, frontiere marittime ecc.), tutto può incendiare a catena un quadrante dove il nervosismo è già molto alto. Colpiscono le dichiarazioni del presidente francese Macron che attacca la Turchia senza mezze termini ricevendone il contraccambio. E si capisce: la Francia è l’unica potenza militare europea 'combat', cioè pronta al conflitto e in grado di affrontarlo. L’Italia o la Germania non lo sono, se non all’interno di un quadro internazionale garantito, in cui sarebbero attori complementari.
È la nostra tradizione comune post guerra mondiale. Tuttavia nel Mediterraneo oggi l’Onu è totalmente assente e anche la Nato ormai non c’è più: il duello Turchia-Francia (entrambi in teoria membri dell’Alleanza) ne rappresenta l’ultima prova. L’affannosa rincorsa americana dell’ultima ora diviene più che altro una conferma: farsi ricevere a Zwara dal rappresentante della milizia locale (che ben sappiamo in che cosa, in modo disumano, commercia…) non rappresenta un gran livello per i rappresentanti di Washington. Lo scontro turco-russo in Libia gira attorno la linea 'Sirte-al Jufra': Mosca ritiene che Ankara non debba superarla e ha già schierato i Mig. Ma Erdogan vuole la città che fu di Gheddafi per togliere a Bengasi qualsiasi diritto sulla Tripolitania e impedirgli il controllo univoco del Sud. Ricomincia l’eterno balletto lungo la 'via Balbia' (da occidente a oriente e ritorno) che ha contraddistinto da sempre la storia militare libica. L’Egitto non potrà stare a guardare e la minaccia di invasione (fino a Tobruch?) delle truppe del Cairo rappresenta un’altra concreta possibilità di guerra. A cui aggiungere ovviamente la contro-reazione algerina...
A causa di tutto questo il nuovo capo di stato maggiore dell’Esercito francese ha voluto fare inconsuete dichiarazioni alla stampa transalpina in cui parla di «guerra vera» e di «indurimento » necessario per le Forze armate francesi. In parole nemmeno troppo velate il generale Thierry Burkhard ha reso noto che il nuovo programma strategico militare della Francia prende spunto dalla lezione della guerra in Afghanistan degli anni 10 di questo secolo: «È il periodo in cui abbiamo riscoperto la guerra in maniera brutale… e questo ci ha portato a una efficacia operativa significativa ». In altre parole la 'vera guerra', quella dei cannoni e dei carri armati, quella delle battaglie campali o avio-marittime, non quella anti- insurrezionale contro il terrorismo, che pur prosegue. L’esercito francese, ha detto il generale, si aspetta dei nuovi conflitti «simmetrici, cioè di Stato contro Stato» e la guerra di Libia dimostra che essi possono giungere più rapidamente di quanto non si creda. «L’Europa – prosegue – è circondata dalla militarizzazione senza complessi del resto del mondo. I nostri avversari ci stanno testando sempre più duramente e non temono di andare all’incidente. Il minimo incidente può dunque degenerare in escalation militare non controllata ». Più chiaro di così. Davanti a tali rischi concreti di guerra dobbiamo prepararci. Ha fatto bene il ministro Di Maio a iniziare subito, a partire da Ankara, una shuttle diplomacy (il far la spola tra interlocutori che non si parlano): essa va rapidamente allargata al Cairo, a Mosca ecc.
L’unica possibilità di frenare l’escalation in atto è un’intensa attività diplomatica italiana: abbiamo ancora l’unico vantaggio di poter parlare con tutti gli attori mediterranei, internazionale e interni libici. Si dirà magari (solito mantra nostrano) che 'non contiamo niente'. Opinione non stravagante eppure ingenerosa, perché proprio questo può essere oggi un ulteriore atout: non siamo una minaccia reale per nessuno, possianmo essere ascoltati da tutti. Tuttavia perché ciò abbia effetto dobbiamo recuperare in attivismo: la nostra shuttle diplomacydev’essere continua, insistente, direi quasi inopportuna e sfiancante. Vanno coinvolti tutti gli attori che possono qualcosa (dagli Usa ai Paesi del Golfo) con un lavoro defatigante, ogni giorno, senza dar tregua. Quasi come un insetto fastidioso, l’Italia si deve inserire in questo 'spettacolo' della forza per richiamare tutti alla ragionevolezza, usando saggezza mediativa. Si ricordi che spesso si riesce in missioni di questo tipo usando le 'leve' degli altri. Quindi sarebbe bene che la Farnesina si attrezzi con numerosi inviati utilizzando le migliori risorse (anche ministri che hanno oggi... poco da fare, ovviamente sempre ben affiancati). Soprattutto è altamente necessario che il ministro Di Maio in pieno accordo col premier Conte ci si dedichi interamente, senza farsi distrarre – duole dirlo – dall’agenda interna: non c’è nulla di più importante di questa sfida. Siamo a un passo dalla guerra: facciamo in modo che ciò non ci travolga senza aver fatto tutto ciò che è giusto e necessario per evitarla.
già viceministro degli Esteri