Il caso Sea Watch. Ciò che il diritto non dice, ciò che i numeri gridano
La drammatica vicenda della 'Sea Watch 3', giunta a una svolta con il travagliato approdo a Lampedusa e l’arresto della capitana Carola Rackete, si è prestata a una narrazione suggestiva che contrappone Antigone e Creonte, i valori etici universali e la legge positiva. Questo aspetto è indubbiamente in gioco, e la solidarietà verso la capitana coraggiosa e gli operatori umanitari è davvero condivisibile.
Ma la vicenda è più complessa, per almeno due motivi. In primo luogo, non è affatto certo che la legge stia dalla parte di Salvini-Creonte. I suoi Decreti Sicurezza e la sua interpretazione delle norme su salvataggi, porti sicuri, responsabilità dei governi sotto la cui bandiera navigano i soccorritori devono ancora passare al vaglio delle istituzioni di garanzia nazionali e internazionali. Non è vero, come hanno affermato il ministro dell’Interno e i sostenitori della linea dei «porti chiusi», che la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo gli abbia dato ragione. Come emerge dalla lettura della sentenza, e come hanno sottolineato con un accurato fact checking' Avvenire' e 'Lavoce.info', la Corte si è limitata ad appurare che non ricorrevano circostanze eccezionali che esponessero a rischi irreparabili la vita o la salute delle persone a bordo della 'Sea Watch'. La Cedu ha quasi sempre respinto queste richieste di misure straordinarie, ma ha affermato che la sua decisione non pregiudica le valutazioni future in ordine alla fondatezza del ricorso. La deduzione di quanti sostengono che «l’immigrazione non è un diritto degli esseri umani» è un tipico esempio di strumentalizzazione politica, senza alcun fondamento nel merito della sentenza.
Vale la pena ricordare che la tendenza a criminalizzare il soccorso umanitario e la solidarietà verso i migranti è in atto in diversi Paesi del mondo, dall’Ungheria di Orbán agli Stati Uniti di Trump, ma non è un processo incontrastato. Un anno fa la Corte costituzionale francese ha emesso una sentenza esemplare, stabilendo che il principio di fraternità inscritto tra i valori cardine della Repubblica, insieme alla libertà e all’uguaglianza, impedisce di criminalizzare la solidarietà con i migranti. Le norme che perseguono chi fornisce aiuto agli stranieri, ancorché privi di regolari permessi, sono state dichiarate incostituzionali. Così il Global Compact for Migration, pur riconoscendo la sovranità degli Stati in materia di accessi al territorio, stabilisce il dovere di salvare le vite in pericolo e di concedere ai migranti l’accesso ai servizi essenziali.
Il secondo motivo per cui l’idea che la legge respingente, incarnata da Salvini-Creonte, abbia chiuso le porte all’immigrazione, è palesemente lontana dai fatti, risiede nella composizione dei flussi migratori. Non solo, come è stato registrato e sottolineato più volte da 'Avvenire', si susseguono «sbarchi spontanei» sulle nostre coste, ma le persone che arrivano dal mare in cerca di asilo sono solo una componente minoritaria della popolazione immigrata: in tutto, tra richiedenti e rifugiati riconosciuti, si tratta di 300mila persone su 5,5 milioni circa di immigrati regolari, più una stima di 5-600.000 in condizione irregolare. Spesso si dimentica che l’unica immigrazione davvero deregolata, del tutto libera, o se si vuole 'disordinata', è quella che arriva da altri Paesi dell’Unione Europea: 1,5 milioni di persone in Italia, 16,9 milioni nella Ue. Senza contare la relativa facilità d’ingresso da molti Paesi dell’Europa orientale candidati all’ingresso nell’Unione ed esentati dall’obbligo del visto per soggiorni turistici di durata inferiore ai tre mesi: dall’Albania all’Ucraina, passando per la Moldova. Ora, se domani qualche milione di cittadini europei decidessero di spostarsi verso l’Italia o verso altri Paesi Ue nessuna norma di legge li fermerebbe. Nel Regno Unito quanti hanno votato per la Brexit lo hanno fatto soprattutto per questa ragione: decisione gravemente negativa e dannosa, per loro e per noi, ma in sé non priva di coerenza.
Altri fortunati titolari del diritto a migrazioni deregolate sono poi i cittadini dei Paesi sviluppati e le élite dei Paesi meno sviluppati, compresi in una certa misura gli studenti. Anche se non tutti e non sempre si comportano bene, non sono poveri e, dunque, anche per loro vige a priori il diritto alla libertà di movimento.
In definitiva, l’accanimento istituzionalizzato nei confronti della 'Sea Watch 3' e della sua comandante è da catalogare nella categoria della campagna elettorale permanente, solleva emozioni e polarizzazioni, ma in realtà incide ben poco sulle politiche migratorie effettive.
Sociologo, Università di Milano e Cnel