Tra legittima difesa e giusta pena. Ciò che davvero offende la sicurezza dei cittadini
«Prudenza», continua giustamente a raccomandare Giuseppe Ferrando, il procuratore della Repubblica di Ivrea cui spetta dirigere le indagini sul caso del tabaccaio che ha ucciso una delle tre persone venute a rubare nella sua proprietà.
Un dato sta comunque emergendo, a smentita delle illusioni alimentate dal trionfalismo con cui si è propagandata la 'nuova legittima difesa'. Neppure adesso, il procurarti un’arma può farti sentire più sicuro contro i furti o le altre intromissioni in casa tua o nel tuo negozio, quasi che tu potessi comunque usarla senza avere, al di là di quelli di coscienza, problemi legali. Ma, allora... quel «sempre » che si è introdotto nel testo dell’articolo 52 del codice penale sull’onda di uno slogan di facile presa («La difesa è sempre legittima»)? No; neanche quell’avverbio – e meno male... – può impedire che degli inquirenti coscienziosi e preparati facciano il loro lavoro di ricostruzione dell’effettiva dinamica di un episodio che ha provocato un evento tragico qual è la morte di un uomo. E, qualora si venisse ad appurare che il colpo letale è stato sparato su una persona in fuga, nemmeno la nuova dizione della legge potrebbe assicurare la totale impunità a chi ha premuto il grilletto: questa – a meno di cambiare completamente il senso a parole di universale comprensione – non è nemmeno più un’autentica 'difesa', quali che possano poi essere le parziali giustificazioni e le attenuanti da riconoscere.
Ricordarlo non è 'buonismo' verso l’aggressore né crudeltà verso chi reagisce all’aggressione. È puro e semplice freno al rischio di farsi avvolgere da una spirale di disumanità, all’esito della quale non è del resto escluso che venga un incoraggiamento alla delinquenza, a farsi sempre più feroce... e più capace di sparare per prima.
Sbaglia però chi, specialmente di fronte a tragedie come questa, crede di poter liquidare con qualche battuta l’esasperazione che si va diffondendo in larghi strati della popolazione, giudicandola come mero effetto di un’abile propaganda e della risonanza che a certi episodi viene data dai media. Propaganda e sfruttamento mediatico ci sono ma non basterebbero, da soli, a suscitare dimostrazioni come la fiaccolata a sostegno del tabaccaio eporediese. E a chi avverte attorno a sé, o addirittura ha sperimentato personalmente, il peso di ripetute e impunite manifestazioni di delinquenza importa poco il sapere dalle statistiche che il tasso di criminalità, da noi, sta diminuendo e che addirittura l’Italia 'è il Paese più sicuro d’Europa': valide per gli omicidi e le grandi rapine (dove è certamente minimo lo scarto tra le denunce e i delitti effettivamente commessi), quelle risultanze sono assai meno significative per quanto concerne minacce, scippi, furti in casa… tutti reati per i quali la 'cifra oscura' degli eventi non denunciati è alimentata dalla crescente sfiducia sulla possibilità di veder realmente perseguiti i colpevoli; senza contare, almeno in certi casi, il timore di ritorsioni.
Si sa che alle radici di molta criminalità stanno problemi sociali e individuali anche di grande complessità e nessuno, certo, ha in tasca soluzioni magicamente idonee a ridurre, se non a sgonfiare, i problemi che ne nascono. La stessa, pur giusta richiesta di una più consistente e più efficace prevenzione da parte dello Stato incontra dei limiti se non si vuole che ciò si traduca in una gestione del territorio prossima a quella di uno Stato di polizia.
Non deve comunque passare un messaggio troppo facilmente indulgenziale, neppure verso quella che viene definita, e per lo più è oggettivamente, 'microdelinquenza', ma che tale non può essere sempre percepita da chi la subisce. Men che meno, certamente, può valere, per coloro che vivono in quel sottobosco, l’auspicio sinistro e sempre disumano del 'marcire in galera'; al contrario, è proprio per questi casi, che dovrebbero esser potenziate e rese sempre più efficaci le misure sanzionatorie e cautelari diverse dal carcere; però, l’alternativa non può essere quella di un andirivieni tra qualche giorno di arresto e il ritorno all’esercizio, sostanzialmente indisturbato, di un 'lavoro' che spesso è preludio di qualcosa di ancor più pericoloso, per sé e per gli altri.