Comunicazione. Chiese tra luogo fisico e online: la frontiera di fede dell'America
Facebook ospita centinaia di gruppi che comprendono l’aggettivo “cattolico”. Sulle loro bacheche, i membri scambiano preghiere e video di cerimonie, lanciano collette per i bisognosi oppure organizzano incontri e conferenze, dandosi appuntamento in luoghi fisici. Quasi tutte le parrocchie, inoltre, hanno ormai una pagina su una rete sociale o un sito Internet dove, oltre a fornire informazioni sulle loro attività, spesso trasmettono in diretta la Messa domenicale per i malati e gli anziani.
L'esperienza religiosa virtuale è esplosa negli ultimi anni, in gran parte a causa della pandemia, e i social la considerano un ambito potenzialmente remunerativo nel quale estendere la loro presenza. Ma per ora i luoghi di culto digitali restano lontani dal sostituire le chiese e persino i responsabili dei principali social, come Nona Jones, direttore delle “partnership di fede” di Facebook, riconoscono l’impossibilità di creare comunità spirituali esclusivamente online. L’esperimento degli ultimi anni ha invece spinto alcuni studiosi a vedere il digitale come uno strumento potente di mediazione fra diversi spazi di fede, che ha il potenziale unico di creare nuovi ambiti di dialogo.
Durante gli interminabili lockdown causati dal Covid 19, la rapida nascita di forme di “religione digitale” ha facilitato l’accesso ai riti e l’interazione fra i fedeli, dimostrando che l’esperienza religiosa può essere sostenuta dai social media e dalla loro fitta rete di contatti (Facebook ha quasi tre miliardi di utenti mensili attivi). Il brusco ed esclusivo passaggio all’online ha però anche messo in evidenza alcuni problemi, a cominciare da quelli legati alla privacy: poiché i fedeli condividono dettagli di vita con le loro comunità spirituali, molti sono diventati facili bersagli di pubblicità basate sul loro impegno religioso. Anche la possibilità quasi illimitata delle aziende tecnologiche di raccogliere preziose informazioni sui suoi utenti crea enormi preoccupazioni, perché gli obiettivi delle Big Tech e delle comunità di culto sono ben diversi, ed esiste il rischio che piattaforme come Facebook cerchino di plasmare a loro vantaggio la stessa esperienza religiosa, così come hanno fatto per la vita politica e sociale.
Sembra inoltre che l’uso massiccio delle reti sociali durante la pandemia abbia avuto un impatto negativo sulla frequenza religiosa, almeno per ora. Negli Stati Uniti, ad esempio, il numero di persone completamente lontane da un luogo di culto è aumentato in modo significativo negli ultimi anni. Prima della pandemia, un americano su quattro riferiva di non assistere mai a funzioni religiose. Un anno fa tale percentuale era arrivata al 33%. E se, prima della comparsa del coronavirus, il 75% degli americani dichiarava di frequentare le funzioni religiose almeno una volta all’anno, all’estate del 2022, la percentuale era scesa al 66%.
Allo stesso tempo, però, la componente digitale dell’esperienza di fede ha permesso un intersecarsi di relazioni e di sfere online e offline che in molti casi hanno creato un’esperienza più ricca e avvicinato al culto credenti che si trovavano ai margini. Secondo Tim Hutchings, autore di vari libri e studi sulla vita religiosa online e direttore della rivista “Journal of Religion, Media and Digital Culture”, le funzioni religiose online sono un «esempio di un nuovo tipo di pratica religiosa che fonde presenza e online, pratiche e connessioni, offrendo forme di educazione, esperienza spirituale e legami sociali che completano l'appartenenza alla chiesa locale piuttosto che sostituirla». Per questo, a suo dire, l'online non è un mero riflesso o potenziale sostituto dell'off-line, ma uno spazio nuovo che vale la pena studiare a parte.
Simile la conclusione di Stewart Hoover, co-autore nel 2021 del libro Media and Religion, che definisce i luoghi Internet che consentono espressioni di fede «spazi terzi della religione digitale». Questo approccio, spiega, considera pratiche di tipo religioso che si sviluppano grazie alle potenzialità comunicative delle tecnologie digitali come un «incontro di diverse narrazioni online e offline ». Hoover mette anche in guardia le istituzioni e la gerarchia religiosa dal considerare lo spazio digitale come minore, o non autentico, perché «i credenti che vi interagiscono li considerano luoghi legittimi di pratica e discussione religiosa».
In questo senso, dunque, la dimensione online permette la mediazione fra gruppi diversi, che si possono incontrare attraverso la tecnologia e poi in spazi materiali. Lo chiese, ad esempio, inaccessibili a causa dei lockdown, sono state “frequentate” con lo streaming su computer, telefoni e tablet e “vissute” nelle case dei credenti, mentre le chat nate in parallelo hanno creato uno spazio in cui i fedeli hanno potuto commentare, creare narrazioni ed esporre i propri sentimenti. Analogamente, la pagina Facebook di una parrocchia può essere un luogo dove i membri della comunità locale lasciano messaggi scambiandosi reciprocamente condoglianze o preghiere, raggiungendo persone che abitualmente non frequentano le attività nei locali della parrocchia. Pertanto, conclude lo studioso, «gli approcci alla mediazione religiosa online devono tenere conto anche della materialità. La religione contemporanea è vissuta tra spazi online e offline, ed è mediata in ambienti diversi».
Gli esperimenti con la presenza internet di sacerdoti e laici sembrano mostrare che, per creare significato e contribuire alla formazione di identità religiose, comunità e autorità, i luoghi fisici e online devono essere interconnessi. Alcuni luoghi online possono contenere riproduzioni di oggetti fisici (immagini religiose o simboli come le candele), altri sono la diretta di ciò che accade in uno spazio materiale e altri ancora sono spazi di dialogo e connessione. La migliore forma di mediazione, insomma, si verifica quando Internet consente contatti veloci tra persone in luoghi diversi e la circolazione di immagini e narrazioni emotive che rinnovano e potenziano l’esperienza religiosa. E questo, sostiene Hutchings, offre enormi possibilità, non ultima quella di «creare comunità religiose non presenti negli ambienti locali, spazi alternativi che possono dare voce a membri della comunità che non si sentono rappresentati nella loro comunità locale».
IN COLLABORAZIONE CON IL Dicastero per la Comunicazione