Il Papa ci regala ogni giorno una parola sulla quale meditare. Per noi preti è un maestro non solo nella dottrina e nella fede, ma anche nella non facile arte della comunicazione. Francesco, come i suoi predecessori, non inventa niente, ma attinge a piene mani al deposito del cristianesimo: scrigno da indagare e da studiare, non da svendere o barattare. I gioielli delle verità rivelate, però, di volta in volta hanno bisogno di essere ripensati, rispolverati, tirati a lucido per riproporli alle nuove generazioni. Senza tentennamenti né paure. Gli uomini vanno compresi e amati; vanno aiutati a discernere il vero bene da un bene parziale, incompleto, momentaneo che potrebbe avere conseguenze disastrose. L’amore è l’unica verità. Quella verità che ci fa liberi, felici e padroni di noi stessi. Chi ama non mente alla persona amata, sente il bisogno di dare, sempre di più, fino al dono totale di se stessi. Il cristiano non segue regole astratte, princìpi inventati a tavolino: ha conosciuto il Figlio di Dio e se ne è innamorato.Con Lui è entrato in dialogo, da Lui è contento di dipendere. Ha gusti raffinati, non si accontenta della cose fatte in serie. Cerca la pienezza, vuole cambiare il mondo, sa di combattere, come dice l’Apostolo, «non contro carne o sangue, ma contro gli spiriti maligni». La prima battaglia da vincere è contro di sé. «Vedo il bene, voglio il bene, mi ritrovo a fare il male... Chi mi separerà da questo corpo di morte?». Non è solo: la Chiesa di cui fa parte è come un corpo con a capo Cristo stesso. Tutto ciò lo riempie di gioia e gli dà una forza da leone. Il banco di prova – e lo stesso giudizio finale – non sono le parole o le emozioni, ma le opere. Opere concrete. Fatti. La fede cristiana non riguarda solo l’anima, ma l’uomo, tutto intero. L’uomo che cammina accanto a te, che lavora, gioca, litiga con te; che si innamora di te. L’uomo fatto di terra ma impastato con l’acqua dello Spirito.Un mistero, l’uomo. Il bene o il male fatto all’uomo Dio lo ritiene fatto a se stesso. Tanto è prezioso e unico agli occhi di Dio che per lui Gesù Cristo è morto. Quest’uomo deve essere aiutato, amato, salvato. A tutti i costi. Occorre scalare i monti e solcare i mari pur di mettergli il Vangelo tra le mani. Ma non tutti i cristiani vivono con coerenza la fede ricevuta in dono. Non tutti mantengono la parola data, non tutti si innamorano del Sommo bene. I compromessi sono una tentazione a portata di mano. Le mezze verità, le finzioni, le apparenze, gli imbrogli stanno sempre in agguato. Tiepidi, li chiama la Parola, e per essi non mostra di avere grande stima. Altri, in piena contraddizione con quanto affermano, si incamminano per la via del male. Dimentichi della libertà ricevuta da Gesù, si rendono schiavi della ricchezza che li attrae, li ammalia, li avvinghia, li uccide. Un virus malefico comincia a tormentarli e a trascinarli verso l’abisso. All’inizio ne provano terrore, poi il re della menzogna, colui che chiamiamo Satana, li inganna e se li trascina dietro. Ma il diavolo sa che non può proporre il male in assoluto. Sa che in ogni uomo c’è un seme di verità che non muore mai. Che anche il peccatore più incallito conserva un pizzico di nostalgia per il bene. E dà inizio al grande imbroglio. Con zelo e maestria si dà da fare per convincere gli uomini che le due cose possono stare insieme. Che si può amare Cristo e odiare gli uomini; che è possibile pregare in chiesa e poi bestemmiare Iddio per la strada. Che pochi atti di formale ossequio religioso possono bastare per far contento Colui che l’Universo non può contenere. Tanti ci cascano, gli credono, e gli consegnano la vita. Senza averne piena consapevolezza si mettono al servizio del male. Il denaro che il Vangelo chiama Mammona li affascina. Pian piano finisce col prendere il posto di Dio. Il peccato personale si struttura, si organizza fino al punto che chi lo compie nemmeno se ne accorge. Come in un’azienda. Il male si camuffa da "normalità". Strutture di peccato. Fabbriche del male.Ce ne sono tante contro le quali il Papa in questi giorni ha lanciato un grido di dolore. Nel Meridione il male si è strutturato in associazioni mafiose. Fratelli di una intelligenza non comune hanno creato qualcosa come uno Stato parallelo, hanno preteso onori, ossequi. Hanno imposto balzelli, tasse, pizzi. Associazioni violente, sanguinarie, vere e proprie mannaie sul collo della gente. Fratelli, anche battezzati e cresimati, che hanno strangolato economia, ambiente, salute. Gente che ha tentato di spegnere la speranza nelle giovani generazioni. Salendo dalla Sicilia costoro prendono il nome di mafiosi, ’ndranghetisti, camorristi. Nemici del popolo civile e del popolo dei credenti. Vera zavorra che rallenta, frena, blocca il passo al progresso e alla verità. Per arrivare ai loro obiettivi non escludono nulla. Intimidiscono, minacciano, feriscono, uccidono. Niente li ferma. Non amano nessuno, nemmeno se stessi e i loro figli. Un cancro nel cuore del popolo, dello Stato, persino della Chiesa. Purtroppo negli anni hanno fatto alleanze con tanti che siedono legittimamente nelle istituzioni e nelle imprese. Sono cambiati, si sono evoluti. Non indossano più la coppola del contadino analfabeta, alla lupara fanno sempre meno ricorso. Ma non per questo sono migliorati. Al contrario, sono diventati più pericolosi e subdoli. Hanno cambiato la pelle, si sono mimetizzati. Ma il fiato puzzolente sul collo delle persone oneste non è scomparso. Mafiosi, camorristi, ’ndranghetisti: una palla al piede della civile società; uno schiaffo in faccia al progresso e alla dignità. È a costoro che si è rivolto il Papa durante la sua visita in Calabria, sabato scorso. A questa gente ha detto chiaro e tondo, in modo inequivocabile, che «la ’ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune... I mafiosi non sono in comunione con Dio: sono scomunicati». Ha ribadito, come già Papa Benedetto, che la vita di queste persone non ha niente in comune con il messaggio di Gesù. Lo ha fatto col suo speciale accento umano ed ecclesiale. E questo grido di Francesco dalla Calabria, al pari di quello di san Giovanni Paolo II dalla Sicilia, rimbomba ora come grido di profeta nel mondo e nella Chiesa.Che succederà adesso? Cambierà qualcosa? Dipende da noi. Da noi preti, vescovi, laici credenti. Dipende da coloro che hanno chiesto e ottenuto la fiducia degli italiani promettendo di andare a Roma, a Bruxelles o nei Consigli comunali e regionali per meglio servirli. Dipende dal desiderio della gente di resistere al fascino del male per gridare insieme un forte sì al bene. Dipende da noi. I mafiosi non hanno più scuse, non si potranno più nascondere dietro statue di santi e processioni fingendo di battersi il petto. Sono come un albero velenoso che affonda le radici velenose in un terreno velenoso che è il pensare malavitoso. Per abbattere l’albero occorre prosciugare la fetida palude nella quale affonda le radici. Non servono eroi improvvisati, e nemmeno azioni sporadiche e disarticolate: occorre imparare e parlare il linguaggio della verità. Mai più dando ai mafiosi l’illusione di aver magari fatto anche un po’ di bene, perché loro hanno fatto e fanno solamente il male. Per questo occorre che lo Stato si ponga accanto ai poveri, impedendo loro di andare a bussare alla porta del capo clan. Sviluppo economico e culturale vanno di pari passo. E poi, l’esempio morale di tutti coloro che lo Stato e la Chiesa rappresentano. Diciamolo: fa più male un solo servitore dello Stato o della Chiesa trovato a imbrogliare che mille delinquenti messi insieme. I mafiosi non amano essere contraddetti. Tanti parroci fin da oggi sanno di rischiare grosso nel momento in cui rifiuteranno loro i sacramenti. Ma se saremo uniti, nessuna paura. Gesù Cristo non ci ha promesso forse di essere con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo?