Opinioni

I credenti e la "notizia". Chiamati a dare voce all’inaudito che il mondo non sa accettare

Marina Corradi martedì 6 aprile 2010
Nel Lunedì dell’Angelo, in quell’"ottavo giorno" della settimana pasquale che ci riconsegna alla feriale quotidianità, Benedetto XVI ha voluto ricordarci chi davvero, quest’Angelo, sia. Angelo, letteralmente "messaggero", per i primi autori cristiani è Cristo stesso: l’annunziatore, colui che doveva portare al mondo "il disegno del Padre per la restaurazione dell’uomo". Annunziatore di quella Resurrezione che ha modificato - ha detto il Papa il giorno di Pasqua – l’orientamento profondo della storia, «sbilanciandolo una volta per tutte dalla parte del bene».L’Angelo del Lunedì pasquale è dunque il Messaggero, colui che testimonia la vita nuova. Ma poiché noi da Cristo siamo stati mandati, ha aggiunto Benedetto XVI, siamo anche noi "angeli", annunziatori della Resurrezione. In modo particolare, attraverso l’ordinazione, lo sono i sacerdoti. E però tutti i cristiani sono chiamati a essere messaggeri.Messaggeri di cosa, ci potremmo chiedere. Nella inflazione nostra quotidiana di parole, magari inerti o ottusi di fronte a questa: "angeli". Oppure così avvezzi fin da ragazzi ai riti della Pasqua, da avere perduto – pur "sapendo" tutto – la coscienza della straordinarietà dell’annuncio. (Ma, se dovessimo spiegarlo a un bambino, sapremmo ancora dirgli perché è formidabile, la "buona novella"?) Il fatto è, come ha detto il Papa a Pasqua, che se Cristo non fosse risorto il destino nostro e del mondo intero sarebbe inevitabilmente la morte. Il destino nostro e di quelli che amiamo, dei padri, e dei nostri teneri figli bambini, sarebbe alla fine solo la morte. Più niente di loro, dopo l’ultimo respiro. Solo Cristo, solo quella pietra tombale rotolata nella notte di Pasqua ha eradicato questa legge; ha promesso che chi crede vivrà per sempre. E’ la vittoria sul male più grande; sulla morte che apparentemente ci riduce in polvere, ma anche sulle sue avvisaglie, e compagne: la malattia, la sofferenza, il dolore. L’annuncio di cui i cristiani sono messaggeri, "angeli", è questa rivoluzione, questa inclinazione diversa e opposta dell’asse attorno a cui gravita l’universo. Il male non vince, la morte non è per sempre. Quale notizia è più sbalorditiva per un’umanità incapace di pace e di giustizia, e ogni giorno assediata dalla violenza o dalla fame? O dal cinismo di chi sta materialmente abbastanza bene per sorridere della immensa speranza dei cristiani. In quella eclissi di attesa e di desiderio di vita, che segna la profonda crisi dell’umanità oggi, evocata dal Papa.Messaggeri dunque, tutti, e in particolare quei quattrocentomila sacerdoti che "servono generosamente il popolo di Dio" nei luoghi più remoti del pianeta, come ha ricordato a Pasqua il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano, nel fare al Papa auguri inconsueti, forti come un abbraccio. A nome di una Chiesa che "gli si stringe attorno", grata "per la fortezza d’animo e il coraggio apostolico" con cui annuncia Cristo. "Angelo" il Pontefice e "angelo" – messaggero – anche l’oscuro giovane prete d’oratorio con la sua truppa di ragazzi attorno; il missionario in Africa, e ogni credente che – più con ciò che è, più con la speranza della sua faccia che con le parole – annuncia. Annuncia che la morte non ha vinto per sempre, che la sofferenza non è senza fine; che rivedremo il padre che ci manca, o il figlio che ci è stato tolto. Che le forze apparentemente opache e invincibili della prepotenza e della ingiustizia non prevarranno – e per questa promessa, non dimentichiamolo, il "mondo" è radicalmente ostile al cristianesimo.L’inaudito annuncio di cui siamo "angeli", è che la morte è stata sconfitta. Non in una magia, come ha detto Benedetto XVI, ma dentro la concretezza carnale della storia. L’asse pesante, fino a quell’ istante inesorabilmente inclinato al male, è stato spostato in una notte – sotto a una pietra di tomba, che pretendeva d’essere per sempre.