Le contestazioni agli esponenti politici sono non di rado dure, in passato ve ne sono state pure di violente. Ma i timori, legittimi, che possano accadere non giustificano gli insulti e le fughe sdegnate di fronte a semplici domande. Anzi, al semplice tentativo di fare una domanda, come è accaduto l’altro ieri a Roma, quando una giovane precaria ha cercato di porre la questione del lavoro nella pubblica amministrazione all’attenzione del ministro dell’Innovazione. Per un politico la capacità di ascolto è una delle prime virtù da coltivare. Per un ministro, poi, è addirittura un dovere. E chi non sa ascoltare le persone – che non sono certo il Paese «peggiore» – oggi si candida solo a ricevere altre sberle. Metaforiche, s’intende. Ma non per questo meno pesanti (e ora gli insulti che a sua volta il ministro riceve su internet sono parimenti criticabili). Anziché insistere nell’errore, meglio scusarsi e aprirsi al confronto. Questa sì sarebbe un’Italia migliore.