Corte costituzionale. Chi migra (e sbaglia) non è come chi traffica persone
Stefano Zirulia
Era partita dalla Repubblica Democratica del Congo. E. K. insieme a sua figlia e a sua nipote, entrambe minorenni, era poi transitata per il Senegal e per il Marocco, ed era giunta infine, con un volo di linea, all’aeroporto di Bologna nell’agosto 2019. Al varco di frontiera la donna aveva esibito passaporti falsi ed era stata immediatamente arrestata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
Nonostante avesse presentato richiesta di asilo, la sua posizione era fin dall’inizio risultata particolarmente grave: la legge italiana, infatti, punisce la conduzione di stranieri irregolari sul territorio mediante documenti falsi e servizi di trasporto internazionale con una pena detentiva di esemplare severità, da cinque a quindici anni di reclusione.
Proprio su questo aspetto, tuttavia, la vicenda giudiziaria incontrava di lì a poco un importante punto di svolta. L’avvocata di E.K. otteneva dal Tribunale penale di Bologna una sospensione del procedimento e il rinvio degli atti alla Corte costituzionale, chiedendo ai giudici della Consulta di valutare se pene così elevate fossero conformi al principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione (articoli 3 e 27).
A sostegno delle ragioni della difesa intervenivano anche importanti organizzazioni e network specializzati in diritto dell’immigrazione e dei rifugiati (Accademia di Diritto e Migrazioni, European Council on Refugees and Exiles, International Commission of Jurists, Advice on Individual Rights in Europe).
Si è giunti così a poco più di un mese fa, al 10 marzo 2022, quando la Corte costituzionale ha depositato una sentenza che, sposando le tesi della difesa e degli 'amici curiae' intervenuti, dichiara l’illegittimità delle pene in questione, cancellandole definitivamente dall’ordinamento italiano.
Secondo i giudici della Consulta, pene così gravi si giustificano soltanto nei confronti dei membri delle organizzazioni criminali dedite, con finalità di lucro, al traffico internazionale di migranti; non invece nei confronti di chi, come E.K., presta aiuto a singoli stranieri, per finalità altruistiche.
Del tutto irragionevole, pertanto, è stata la scelta del legislatore italiano di sottoporre entrambe queste categorie di soggetti, indistintamente, al medesimo e severo trattamento sanzionatorio.
Si tratta, constata inoltre la Corte, di una scelta contrastante con le indicazioni provenienti dal Diritto internazionale e dal Diritto dell’Unione Europea: il primo, con il Protocollo di Palermo del 2000, impone di criminalizzare soltanto il favoreggiamento connotato da scopo di lucro; mentre il secondo, con il Facilitators’ packagedel 2002, pur imponendo di criminalizzare il favoreggiamento in ogni sua forma, impone di adottare severe pene detentive solo per le ipotesi riconducibili al traffico internazionale di migranti.
Il legislatore italiano è dunque andato oltre a quanto gli veniva espressamente chiesto dalla Ue, e nel farlo è incorso in una manifesta contraddizione: difatti, le pene previste per il favoreggiamento realizzato attraverso servizi di trasporto internazionale e documenti contraffatti risultano identiche a quelle previste per i casi in cui i migranti vengono esposti a un pericolo per la propria vita o incolumità, o a trattamenti inumani e degradanti, cioè a quelle ipotesi, sottolinea la Corte costituzionale con spiccata forza espressiva, che evocano «le drammatiche immagini di viaggi su imbarcazioni di fortuna e sovraffollate, o in precari nascondigli in celle frigorifere destinate al trasporto di merci, che spesso sfociano in eventi fatali».
La vicenda giudiziaria di E.K. non è ancora conclusa, perché il suo processo proseguirà per il reato di favoreggiamento non aggravato (per il quale sono previste pene molto più leggere, che ammettono la sospensione condizionale).
Allo stesso modo non può dirsi ancora del tutto conclusa la stagione della criminalizzazione della solidarietà.
Eppure, questa sentenza rappresenta un primo e deciso passo nella giusta direzione, ossia la demolizione di un apparato sanzionatorio che, in nome della protezione delle frontiere, reprime indiscriminatamente soccorritori, volontari e famigliari dei migranti, ponendoli arbitrariamente sullo stesso piano dei trafficanti di esseri umani.
Stefano Zirulia, giurista, Università Statale di Milano