Opinioni

Il direttore risponde. Chi ha figli ha futuro, come chi ha memoria Dio non sarà mai un condottiero d’Occidente

Marco Tarquinio mercoledì 30 marzo 2016
Caro direttore,
approfitto della tranquillità del tempo di Pasqua, che laicamente ho trascorso nella meditazione della mia casa padovana, per mandare a lei e ai lettori del suo giornale gli auguri pasquali. E per condividere alcune riflessioni. Giuliano Ferrara, nel "Foglio" del 25 marzo, ha scritto, con la sua solita prosa sontuosa, intelligente e audacemente cinica, cose che fanno riflettere sotto la titolo «Senza un Dio che ci salvi, cosa succede ad un Occidente senza guida?» Da ateo devoto, come ama definirsi, Ferrara va vicino alla verità. Come vicino alla verità va Cacciari nell’articolo su "l’Espresso" in edicola. Tutti e due propongono riflessioni non banali, ma credo stiano sempre a valle del "problema". E io penso che a valle non ci siano "soluzioni" facili. Nel 2000, in occasione del Giubileo, papa Wojtyla alla Pontificia università di Napoli che si interrogava con coraggio sulle colpe della Chiesa nel processo a Bruno, mandava a dire che bisognava «purificare la memoria». Troppe volte si era detto: la Chiesa lo ha condannato, ma il potere politico lo ha bruciato vivo. Giovanni Paolo II disse che quella era un memoria da "purificare". In un recentissimo incontro al Refettorio di san Macuto della Camera dei deputati, laici e cattolici si sono confrontati su Galileo, a 400 anni dal suo primo processo, celebrato proprio in quei locali. Il cardinal Ravasi, in apertura, e monsignor Ladaria, in chiusura, hanno offerto una consapevolezza nuova, davanti al pensiero laico con l’indice garbatamente puntato sulla Chiesa storica. Una volta la Chiesa chiedeva perdono solo a Dio per le sue colpe, oggi chiede perdono anche all’uomo, ha concluso Ladaria, tra gli applausi di tutti.
Questo inciso per tornare al discorso sull’Occidente senza Dio. Io, da laico che non presume di consigliare a Dio alcunché, penso che l’Occidente andrà al tramonto definitivo perché non ha «purificato la sua memoria», non ha avuto coraggio di fare i conti con la sua coscienza, con la sua storia, con secoli di rapine verso i poveri del mondo. E quello che succede oggi con le compagnie petrolifere o le multinazionali che espropriano milioni di piccoli agricoltori delle terre e delle attività di cui da sempre si sono sostentati. Questo mette in essere le maledizioni bibliche. Non sono i criminali del Daesh o di altre sigle che metteranno in ginocchio l’Occidente. Ha ragione Cacciari: quelle sono guerre interne al fondamentalismo islamico. I milioni di espropriati del mondo intero marceranno con la loro disperazione e la loro voglia di vita e fiducia nel futuro, su questa Europa stanca, opportunista ed egoista, che ha scelto di scomparire, che ha reso nella sua legislazione la procreazione come un’attività secondaria che si può appaltare all’utero dell’Asia e dell’Africa, di popoli che non hanno scelto come noi quello che chiamiamo lo "stile di vita" occidentale.
Quelli che misurano la civiltà dell’Occidente dal Pil in perenne doverosa crescita, non possono storcere il naso di fronte a una offerta di manodopera così a basso costo che ricorda i tempi aurei dello schiavismo. Agli amici affezionati al pensiero liberale vorrei ricordare che nel secolo dei Lumi, quando l’Inghilterra portava navi cariche di schiavi africani verso le Americhe, il governo britannico, preso da qualche dubbio, interpellò il suo più prestigioso filosofo, uno di quelli che non si può non amare, che redigesse una perizia, se quegli esseri «dal colore così fosco» fossero esseri umani o animali. David Hume scrisse che dall’abilità manuale di quegli africani si poteva essere indotti a pensare che fossero umani. Ma è come con le cocorite (parrots, dice Hume): opportunamente istruite parlano, ma non sono, per questo, esseri umani. Le orde di immigrati che attraversano i nostri lager, i nostri fili spinati, che affrontano gendarmerie armate a cavallo, con mute di cani, sono affamate, lacere, graveolenti, visto che le guardie che li avvicinano portano sempre guanti e mascherine contro il contagio. Ma hanno un’arma vincente: hanno fede nel futuro: sono pieni di bimbi che si stringono addosso come possono. Con la cordialità di sempre.
Alessandro Tessari
Elementare, caro Tessari. Ma niente affatto scontato. Grazie davvero per questa laica e consonante riflessione di Pasqua. Lei dice bene: hanno figli, dunque hanno futuro. Per poverissimi che siano. Per sospettati, disprezzati, depredati e strumentalizzati che siano. Hanno futuro, anche se sembrano condannati alla condizione di quelli che bussano e tendono la mano alle porte della casa d’altri, all’uscio d’Europa. Anche se sono affollati ai margini, da migranti e richiedenti asilo, con facce e nomi buoni per fogli di via e solo qualche volta per commozioni fotografiche e televisive, o per rimorsi non solo di carta. Sono uomini e donne che consideriamo importuni e pericolosi proprio come i figli che troppi di noi, italiani ed europei, non generano invece più. Per paura, di minor benessere nostro o di imperfezioni loro. O per impossibilità o anche solo scomodità: impacci di natura che qualcuno pensa, magari, di aver diritto di aggirare facendosi "fare" uno o più bimbi da madri-schiave comprate sul mercato globale. Hanno futuro perché hanno Dio, e dunque – sradicati come sono, e umiliati e perseguitati – sanno delle radici e dei frutti, sperimentano saldezza e speranza. E noi? Cerchiamo davvero un "generalissimo" che cinga d’assedio il resto del mondo? Il Dio di Gesù Cristo, il Dio che è Gesù Cristo, il Dio della gente semplice, il Dio dei poveri e di tutti gli inquieti per la violenza, il Dio degli affamati di giustizia, dei missionari e dei sempre nuovi crocifissi, non è una divinità alla quale si può essere devoti come a un condottiero o che si può rimpiangere tra tante altre epocali (e quotidiane) irresolutezze e sperdutezze d’Occidente. Dio ama il mondo, anche se c’è un Occidente che non pensa più Dio. Anch’io, come lei caro professore, e come Ferrara, sono figlio di questo po’ di pianeta e d’umanità, e non mi rassegno di certo al suo ricercato isolamento, all’isterilimento e all’incattivimento, ma oggi come ieri non mi convince certo sistematico (e in Ferrara mai banale) associare Dio alle nostre antiche e umanamente fertili "terre del tramonto". Non mi sogno, cioè, di metter Dio a guardia della porta, della biblioteca e persino della santabarbara, e soprattutto ho la consapevolezza che l’Onnipotente non intende fare al posto nostro neppure uno dei lavori che, qui e ora, ci spettano (e che nessun ateo, per quanto devoto, gli dovrebbe mai appaltare)... Sono però d’accordo su un punto essenziale con Ferrara, e cioè sulla necessità di un «ordine» buono per tutti. Un alfabeto comune, un essenziale patto di civiltà, cioè almeno di equa – equa! – e civile convivenza. Un patto basato su regole accettate, solide, mai piegate – e quanto ci aiuta a comprenderlo la parola di papa Francesco! – all’interesse del commercio del momento, della prepotenza meglio remunerata e più remunerativa. Regole "con la memoria", mi viene da dire. Una "memoria purificata" dall’errore e dall’orrore umano, sottolinea lei alla santa scuola di Giovanni Paolo II. Per me questa "memoria" è un’eco concreta, l’eco della voce di Dio, della parola di Cristo nel Discorso della Montagna. Senza Dio un’umana e giusta lingua non si parla, un patto solido non si stringe, la vera e buona ricchezza non si calcola. Insomma, senza Dio non c’è salvezza, ma – prima o poi – la vertiginosa presunzione dell’io e i fanatismi dei ventriloqui e dei manovali del male. La guerra si può fare a pezzi, e infatti così accade. E anche ogni processo di pacificazione incomincia (o ricomincia) sempre in luoghi precisi e dentro storie imprecise e determinate. Ma la salvezza non si può fare a pezzi, come il mondo, come l’umanità. Lo ripeto, e non solo a me stesso, ogni giorno, e ancora non mi basta: nessuno, e nessun pezzo di mondo, si salva da solo. Che un laico con la sua storia e passione dimostri di averlo ben chiaro non mi stupisce affatto. Eppure gliene solo grato, caro Tessari, come la prima volta che ci siamo scritti (cioè parlati) e capiti: anche questo nutre la volontà di resistere alla tragedia della violenza dei gesti e delle parole di sopraffazione e di rifiuto, di separazione e di morte. Dio – il Dio dell’universo, il Dio dei viandanti – sa quanto ce n’è bisogno...